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vedi napoli e
poi muori recensione
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Si dice proprio così:
“Vedi Napoli
e poi muori”,
perché la bellezza
suggestiva di questa
città è
carica di sensazioni
forti. La città
del Rinascimento,
ricca di storia e
di folklore. La città
di Enrico Caria, regista
di questo straordinario
e coraggioso film-documentario
“Vedi Napoli
e poi muori”,
che narra le molteplici
facce di una Napoli
dove il mare luccica
sempre, Posillipo
la domina e la pizza
è la sua specialità
culinaria più
apprezzata dai turisti.
Enrico Caria, in questo
suo lavoro, narra
la schizofrenia di
questa Napoli, bella,
illuminata dal sole,
ma soffocata e impietrita
dalla malavita camorristica,
dalle famiglie dei
clan mafiosi. Caria,
dopo essersi allontanato
dalla sua Napoli negli
anni 80, per sfuggire
alla prima guerra
di camorra, vi fa
ritorno, per osservare
con i propri occhi
(e non per sentito
dire), i gravi problemi
sociali di questa
città. Il |
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film-documentario
è
un viaggio
nella
Napoli
del
centro
storico,
e nell’inferno
della
periferia
napoletana,
nel
rione
Scampìa.
Caria,
affiancato
dal
suo
braccio
destro
Felice
Farina,
scrive
un documento
spiazzante,
usando
un linguaggio
accattivante,
ed incisivo,
supportato
dalla
tecnica
dell’animatic
(grazie
a Luca
Ralli),
con
cui
riesce
a rendere
animati
anche
i disegni
sui
camorristi
fatti
dai
bambini
delle
scuole
della
pe-
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riferia napoletana.
Tra pupazzi
e personaggi
animati, campi
lunghi dei
rioni camorristi
della periferia
napoletana,
interviste
a folle di
dimostranti
disoccupati,
flash su episodi
di morti ammazzati,
Caria fa una
carrellata
su quei fatti
che hanno
definito nel
tempo l’identità
buia della
città
partenopea.
Parla del
primo clan
mafioso, quello
dei Cutolo,
dell’omicidio
Siani nell’85,
del caso di
Roberto Saviano
che ha scritto
il libro “Gomorra”,
e che nel
film dà
un lucido
e scioccante
affresco dell’impero
economico
che la camorra
ha conquistato
in questi
anni, tessendo
la sua tela
di ragno gigante
attraverso
i principali
paesi del
mondo. Le
interviste
sono numerose.
Non manca
quella al
parroco anti-camorra,
don Vittorio
Siciliani,
che ha realizzato
un presepe
inedito, inserendo
i mali del
suo quartiere,
e lo ha diviso
in tre zone.
Una zona rappresenta
il presepe
normale, un’altra
i palazzoni
deprimenti
del rione
Scampìa
con i drogati
e gli spacciatori,
e una terza
zona immaginaria,
cioè
la rappresentazione
del rione
Scampìa
come potrebbe
essere bello:
palazzi più
bassi, prati
e bambini
che giocano,
senza alcuna
forma di delinquenza.
Parla, Caria,
in questo
film–documentario
della sua
Napoli, senza
risparmiare
nulla del
male secolare
che l’affligge.
La trama della
narrazione
è ben
articolata,
e supportata
con vivacità
da significativi
brani musicali
. La rappresentazione
delle varie
testimonianze
dei fatti
che affliggono
Napoli, sono
ben inserite
in un montaggio
che scrive
un documento
reale e ben
ragionato
nella sua
crudezza sociale.
Il caso del
cimitero,
sulle profanazioni
delle tombe,
per liberarle
dai morti
che le occupano,
per dare un
luogo ai morti
ammazzati,
la dice lunga
sul degrado
sociale e
morale dell’interland
napoletano.
D’altra
parte, parlare
di un mostro
a più
teste -come
lo stesso
Caria ha affermato-
potrebbe anche
produrre un
effetto di
osannamento
del mostro
stesso, ma…non
parlarne porterebbe
all’annientamento
di questa
città
e della sua
gente.
(recensione
di Rosalinda
Gaudiano
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napoli e poi
muori"! |
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