UOMINI SENZA LEGGE - RECENSIONE
 
locandina uomini senza legge
Locandina "uomini senza legge"

uomini senza legge - recensione

 
Ad un anno dall’anniversario dei 50 anni della Liberazione algerina dal dominio francese, il regista franco-algerino Rachid Bouchareb, porta sullo schermo “Uomini senza legge”, con l’ambizioso obiettivo di «ristabilire una verità storica troppo a lungo tenuta sotto chiave». Per la verità storica ci sarà tempo di discutere, intanto però la pellicola si aggiudica la candidatura per il miglior film straniero agli Oscar 2011. Tre fratelli - Saïd (il bravo Jamel Debbouze, già visto in “Angel-A” di Luc Besson e in “Lei mi odia” di Spike Lee), Messaoud (Roschdy Zem) ed Abdelkader (Sami Bouajila) – sono costretti a separarsi abbandonando la propria casa a Setif, in Algeria Si ritrovano in Francia, dopo aver percorso tratti di strada molto differenti. Saïd dopo l’avvio nel mondo della prostituzione, gestisce un locale di boxe, Abdelkader è un leader del  
 
Fronte di liberazione Nazionale e Messaud è tornato dall’Indocina dove ha combattuto con l’esercito francese. La medesima origine e le differenti esperienze di vita si mescolano dando luogo a differenti modi di intendere la libertà e la rivoluzione. Saïd tenta di risollevare l'orgoglio del proprio paese portando un pugile algerino alla vittoria nel campionato francese, senza seguire la via del sangue e della guerra armata. I suoi   recensione uomini senza legge
fratelli abbandonano le favelas operaie di Nanterre per abbracciare la lotta armata, raccogliendo donazioni per finanziarla e allacciando legami con società segrete. Siamo negli anni '50, e la Capitale francese è percossa dal terrorismo indipendentista e dagli scontri tra la polizia gaullista e il Fronte di liberazione nazionale algerino. L'aderenza alla storia promessa dal regista cede fortunatamente il passo ad una lettura più artistica, più istintiva, in cui l'aderenza alla realtà - pur corteggiata attraverso l'utilizzo di preziose foto d'archivio e la puntuale scansione cronologia dei sottopancia - viene però rimetabolizzata con strumenti cinematografici efficaci ed emozionanti. Dalla crudezza della repressione francese in Algeria ai lucidi squarci di vita nelle favelas parigine, diviene a poco a poco chiaro che lo sguardo di Bouchareb non è affatto asettico o storiografico, ma fa appello all'emotività dello spettatore per cercare la sua simpatia e indirizzare, solo in un secondo momento, il suo interesse verso i fatti storici, narrati qui per la prima volta. Bouchareb - sorretto da una fotografia densa di atmosfera, e da attori capaci e coinvolti – vorrebbe tenersi in equilibrio sul crinale tra storia e arte, documentaristica e edulcorazione passionale dei fatti, tra il macrocosmo della storia algerina e il microcosmo delle trame narrative. Ma la tentazione di preferire i secondi ai primi e di volgere la storia in epica prende con fin troppa evidenza il sopravvento.


(recensione di Daniele Piccini)


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