UNA VOCE NELLA NOTTE
 

una voce nella notte recensione

 
Il regista Patrick Stettner, dopo “The Business of Strangers”, con il film “Una voce nella notte”, tratto dal romanzo di Armistead Maupin, corre sul filo della suspence, sottile ed allusiva, intrigante, tutta costruita su problematiche forti, legate all’intimo umano, alla psiche. Gabriel Noone (Robin Williams), oltre ad essere uno scrittore di successo, conduce un programma radiofonico di notte, durante il quale dialoga in diretta con gli ascoltatori. Gabriel attraversa un brutto momento esistenziale. Il suo compagno Jess (Bobby Cannavale), sieropositivo e da otto anni suo convivente, lo ha lasciato, e lui non ha più creatività sufficiente per il suo lavoro di scrittore. Il curatore di romanzi Ashe (Joe Morton) amico di Gabriel, gli consegna un manoscritto a dir poco inquientante. Il libro è una sorta di autobiografia scritta da un quattordicen-  
 
ne di nome Pete Logand (Rory Culking), che avendo subito sin da piccolo forti molestie sessuali dai genitori e da amici dei genitori, ha deciso di proporre la pubblicazione della sua storia. Gabriel, che, per mestiere, cattura storie di persone per poi riproporle come racconti pubblici, fa conoscenza con il ragazzo per telefono. E, sempre per telefono, conosce la madre adottiva di Pete, Donna Logand (Toni  
Collette). In poco tempo si instaura tra i tre, attraverso lunghi colloqui telefonici, un’intesa di mutuo aiuto. Il film, con l’avanzare della narrazione, tende la sua tela di triller psicologico. Anna (Sandra Oh) amica di Gabriel, e lo stesso Jess, nell’ascoltare le voci di Pete e di Donna, percepiscono una netta somiglianza, tanto da affermare che si tratti della stessa persona. Gabriel Noone chiama casa di Pete e Donna, ma il numero risulta non più valido. Decide, allora, di andare personalmente nel Wisconsin per conoscere Pete e Donna. Ma la situazione cui va incontro è del tutto imprevedibile. Patrick Stettner in “Una voce nella notte”, delinea una traiettoria di sconcertante suspence. Diciamo che scrive tutta la storia di silenti turbe dell’anima, con una calma lucida, come il filo d’acqua che scorre piano, ma inesorabile e silenzioso. Stettner usa inquadrature e sequenze di primi piani, soprattutto all’inizio del film, per dare un’identità definita ai personaggi. In seguito il campo scenico è costruito con inquadrature più oggettive, che comprendono ogni cosa. E’ qui che il triller psicologico assume una connotazione incisiva. Lo sbigottimento di Gabriel per i fatti che prendono il sopravvento su di lui, la sibillina identità di Donna, l’esistenza o non di Pete, più di una volta inducono lo spettatore a chiedersi quale sia veramente la realtà. Stettner comunque riesce ad andare abbastanza vicino nella rappresentazione della perfidia della follia umana, tanto da ingannare chiunque quando si sdoppia perfettamente nella sua essenza. Il ritmo lento della suspence tiene bene la ricerca delle tematiche legate all’identità, all’ossessione, alla schizofrenia, ma anche alla sublimazione di se stessi, come nel caso di Gabriel. E’ la sua vita che viene ad essere molestata e resa insopportabile, dopo la scoperta che la verità in cui aveva creduto, non era altro che ciò in cui lui solo aveva voluto credere, e che lo aveva incredibilmente ingannato. Robin William non delude mai! Straordinario nella carica umana che riesce a dare al personaggio di Gabriel Noone. Altrettanto per Toni Collette, ormai professionista abilissima nell’indossare le maschere dei personaggi che interpreta, senza mai tradire le aspettative del pubblico.


(recensione di Rosalinda Gaudiano )

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