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Lungometraggio d’esordio
del giovane Toni D’Angelo,
figlio di Nino e già
aiuto regista di Abel
Ferrara, "Una
notte" racconta
dell’incontro
di quattro quarantenni
borghesi e affermati
che si ritrovano dopo
anni nella natia Napoli
per la morte di un
caro amico. Guidati
da un saggio tassista,
gli amici passeranno
insieme una notte
che pare interminabile
tra feste e locali,
facendo i conti con
il passato, le aspirazioni
frustrate, gli errori
di una vita. Film
a basso costo e sostanzialmente
auto-prodotto, "Una
notte" risulta
nel complesso una
buona opera prima,
diretta con mano sicura
e con intelligenza
da un regista giovane
che però ha
saputo imparare bene
la lezione di quelli
che lui stesso indica
come propri maestri
ispiratori: Abel Ferrara,
appunto, e John Cassavetes.
L’ambientazione
napoletana è
insolita, avrebbe
potuto |
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trattarsi
di Napoli
come di qualsiasi
altra città,
tanto è
stato forte
il lavoro
di de-constestualizzazione
operato da
D’Angelo:
una Napoli
assolutamente
non turistica,
poco conosciuta
e poco riconoscibile
se non grazie
a poche inquadrature
d’insieme
con la sagoma
del Vesuvio
sullo sfondo.
Ad essere
presente nel
film e nei
personaggi
non è
la città
vera e propria,
è il
‘sentimento’
di Napoli,
o per meglio
dire, l’essenza
stessa dell’essere
napoletani.
E quest’essenza
si incarna
non solo nel
personaggio
di Raffaele
(il tassista
che preferisce
lavorare di
notte per
godersi la
città,
per incontrare
persone e
parlare con
loro della
vita e della
morte) ma
anche in quelli
dei quattro
amici Riccardo,
Alfonso, Salvatore
e Annamaria:
nati e cresciuti
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nella città
partenopea
e da questa
poi partiti,
o meglio,
fuggiti al
Nord per trovarvi
stabilità,
successo,
ordine, i
quattro faticano
a ritrovarsi
ora nel clima
della città,
nel suo modus
vivendi ed
essendi. Fra
tutti, Riccardo
è quello
che mostra
più
ostentatamente
il proprio
disprezzo
per questa
città.
Nonostante
si avverta
profondamente
l’onestà
di fondo e
l’amore
per la vicenda
e i suoi protagonisti,
il maggior
difetto del
film si ravvisa
però
proprio nella
sceneggiatura,
nella storia
in sé
e nel suo
sviluppo drammaturgico.
Scritta a
quattro mani
da D’Angelo
e Salvatore
Sansone, essa
ha poi il
suo punto
debole nel
personaggio
del tassista,
definito dal
regista come
una sorta
di Caronte
ma che in
realtà
pare essere
più
un grillo
parlante tra
luoghi comuni
e sentenze
di buon senso
popolare.
Scritto espressamente
per essere
interpretato
da Nino D’Angelo,
bravo ma eccessivamente
invadente,
questo personaggio
sembra troppo
caricato per
essere credibile.
Il resto del
cast è
composto da
bravissimi
attori, fra
i quali spicca
Riccardo Zinna
per finezza
e introspezione.
L’intensa
colonna sonora
è del
gruppo veronese
dei My Own
Parasite.
(recensione
di Chiara
Cecchinii
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