UN PONTE PER TERABITHIA
 

un ponte per terabithia recensione

 
Forte della contemporanea passione (leggi: incassi da record) per il fantasy da parte di Hollywood, la Disney rispolvera un testo di Katherine Paterson degli anni settanta, adottato negli Usa come testo scolastico. Ne scaturisce un amalgama (per tredicenni al massimo) discontinuo e prevedibile ma che possiede il pregio di affrontare il tema della morte e di non essere baro negli snodi fondamentali. Due ragazzini (i bravi e freschi Josh Hutcherson e Anna-Sophie Robb) divengono sodali per fronteggiare la solitudine, le prepotenze dei compagni di scuola più grandi e l’ingrata fase della pubertà. Il traino verso un mondo esclusivo e colorato sarà lei: naturalmente dotata di fantasia riuscirà a far spiccare il volo anche alla timida creatività imberbe che alloggia nell’amico. Inventeranno Terabithia, un luogo boscoso aldilà di un torrente  
 
(che segnerà irreparabilmente i destini di tutti) e nel quale l’immaginazione regnerà dilagando propositiva e consolatoria. I due mini Mulder e Scully avranno modo di tracciare il proprio percorso di crescita con l’effetto di apparire graditi, senza troppi artifici stucchevoli. Curioso e veloce a tratti, retorico e scontato nel finale quando inscena un festino strabordante di creature magiche e/o elfiche (non se ne può  
più: mettiamole in quarantena!) a dispetto del buon equilibrio realtà/fantasia sin d’ora mantenuto. Sullo sfondo, il lavoro sottocosto degli effetti speciali. In evidenza, un monito sempreverde e intramontabile: che la curiosità, quella sana, vi benedica l’adolescenza e poi la maturità.

(recensione di Daniela Losini )


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