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recensione un
gioco da ragazze
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Si è presentato
al Festival di Roma,
tra nasi storti e
grasse risate (non
cercate dagli sceneggiatori),
Un gioco da ragazze,
l’ultima pellicola
generazionale che
il Belpaese ci propone.
Film accompagnato
da mille polemiche
scaturite dal bollino
di V.M. 18 anni affrancato
sul film di Matteo
Rovere, un vero e
proprio schiaffo in
faccia per un progetto
che cerca, e forse
troverà dopo
una piccola revisione
di un paio di scene,
la consacrazione nelle
sale piene di ragazzine
della fascia 13-18.
Il film attinge fortemente
dal registro che aveva
portato alla ribalta
il mediocre Thirteen:
fotografare la vita
di alcune ragazze,
cresciute troppo presto,
che tirano a campare
tra un festino sex
and drugs e situazioni
familiari tutt’altro
che serene, rendendole
ancora più
insopportabili delle
parallele statunitensi
dall’agiatezza
in cui immeritatamente |
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sguazzano.
Vite
in cui
“farsi
una
scopata”
e “calarsi
una
bomba”
sono
le tappe
di un
percorso
vuoto,
superficiale,
ripetitivo,
ma essenziale
per
il riconoscimento
all’interno
della
comunità
sociale
di riferimento.
Il tutto
e subito
porta
le protagoniste
17enni
a trovarsi
impantanate
in crisi
esistenziali
ben
più
scabrose
di quelle
che
l’età
naturalmente
suggerirebbe.
Il film
di Matteo
Rovere
si presenta
portando
in |
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dote un ridicolo
elenco di
tutti i clichè,
snocciolati
a raffica,
e davvero
non ne risparmia
nessuno: il
professore
che cerca
ed auspica
un riscatto
per la protagonista,
che neanche
lei va minimamente
cercando,
le ragazze
che si comportano
come le bullette
di cui si
sente nei
TG commerciali,
l’idolatrazione
nauseante
di dive pop
quali Paris
Hilton e Kate
Moss, nemmeno
nella scelta
dei nomi un
minimo di
originalità,
la solita
stucchevole
carrellata
di droghe
e di discoteche
‘tacchi
e camicia’.
Se è
vero che descrivere
realtà
superficiali
e deprecabili
sul grande
schermo non
vuol sempre
dire esserlo
a propria
volta, ma
spesso è
una critica
inconscia,
in "Un
gioco da ragazze"
il tiro al
bersaglio
è sinceramente
inevitabile.
Quando s’intraprende
un progetto
lo si fa sempre
in relazione
ad un certo
pubblico che
si vuole andare
ad interessare
e verso il
quale ci si
rivolge, ma
qui anche
i moccio-mucciniani
potrebbero,
non per forza,
sentirsi offesi
da cotanta
banalità
ed inutile
sottolineatura
dello scabroso
che infesta,
a vedere questi
film, le nuove
generazioni.
"Un gioco
da ragazze",
insieme ad
"Albakiara",
completa un
viaggio cominciato
con "Tre
metri sopra
il cielo",
attestandosi
come punto
più
basso di un
cammino iperbolico
che è
arrivato all’abbattimento
di qualsiasi
tabù
o autolimitazione
consapevole.
Provocazione
o meno, la
pellicola
di Rovere,
debole di
una sceneggiatura
grottesca,
tocca nel
finale il
culmine di
un disimpegno
totale, non
solo artistico,
ma anche sociale
ed etico.
Se ai tempi
delle varie
Bambi, Gin
e Quattrociocche
era una posizione
supponente
quella di
chi si assurgeva
a moralizzatore,
questa volta
il bisogno
di un cambiamento
e di un’inversione
di tendenza
è così
forte da non
sentire ragioni
commerciali
o generazionali
che tengano.
Inutile sottolineare
che la scelta
di presentarlo
al Festival
di Roma ha
qualcosa di
inquietante
ed oltremodo
distorto nella
sua macchinazione.
Restitueci
la premiata
Vaporidis-Capotondi!
E ci siamo
capiti…
(di Tommaso
Ranchino
)
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recensione del
film "un
gioco da ragazze"! |
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