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Brutto forse non rende
l’idea. Bruttissimo
la rende meglio. Orrendo
ancora di più.
Una sbobba futuribile
inenarrabile dove
tutto, trama, personaggi,
scenari computerizzati,
ipotesi avveniristiche,
sprofonda in un ridicolo
involontario disgustoso.
Talmente brutto da
non essere nemmeno
“trash”,
il quale tutto sommato
ispira simpatia per
quella sua bislacca
e sanguigna rudimentalità
del tipo “vorrei
ma non posso”
o “vorrei ma
non ne sono capace”.
“Ultaviolet”
invece è un
vero monumento all’imbecillità
più ottusa,
la prova provata di
come si possano ottenere
risultati diametralmente
opposti alle intenzioni
che li hanno partoriti,
un simulacro vuoto
per definizione sul
come si possa perseverare
nella propria idiozia
senza rendersene nemmeno
conto, prendendosi
drammaticamente sul
serio |
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sfrecciando
senza
freni
giù
per
una
discesa
bellamente
incuranti
del
muro
che
si erge
in fondo.
Ci si
vorrebbe
schiantare
a nemmeno
10 minuti
dall’inizio
del
film
contro
quel
muro,
così
da porre
fine
ad un
supplizio
intollerabile.
Sembra
di rivedere
“Aeon
flux”
se non
fosse
che
a confronto
“Aeon
flux”
è
un capolavoro.
Ogni
centimetro
di pellicola
impressionata
grida
vendetta.
Pietosa
Milla
Jovovich
che
vorrebbe
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essere spietata,
risoluta e
sofferta e
invece è
solo pietosa,
perfino quando
si mostra
senza veli!
Pietoso il
cattivo, che
vorrebbe essere
cattivo, ma
con un ridicolo
aggeggio attaccato
al naso è
solo pietoso.
Pietoso Kurt
Wimmer, già
regista di
“Equilibrium”,
che non sappiamo
cosa vorrebbe
essere ma,
non azzeccandone
una neanche
di striscio,
è solo
pietoso: pietose
le sequenze
di azione,
pietoso l’uso
della grafica
computerizzata,
pietose anzi
pietosissime
le parentesi
sentimentali,
pietoso il
ricorso ad
una futurologia
già
vecchia che
più
è tecnologica
e più
è pietosa.
E pietoso,
anzi pietosissimo
il contenuto
della valigetta
iperfuturista
(pietosa)
che la nostra
eroina trafuga
dal laboratorio
iperfuturista
(pietoso).
Tutti le dicono
di non aprirla,
lei invece
la apre e
dentro ci
trova –
attenzione,
prego! –
il bambino
di “Io
sono Sean”
(ebbene sì!)
con la stessa
espressione
da ebete di
allora. Il
bambino in
realtà
è un’arma
per eliminare
tutti i vampiri
che nel futuro
si chiamano
emofagi. Anche
lei è
un emofago,
essendo stata
contaminata
anni prima
dalla solita
epidemia scaturita
dai soliti
esperimenti
genetici.
Ma invece
di ucciderlo
lo salva perché
è un
bambino e
lei perse
un bambino
anni prima…
per tutto
il film lei
si chiede
“cosa
sto facendo?”.
Noi “cosa
stiamo guardando?”.
La domanda
è retorica.
Quel che è
certo è
che dopo “Ultraviolet”
urge riconsiderare
il significato
del termine
“brutto”.
(di Mirko
Nottoli
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