TUTTI GLI UOMINI DEL RE
 

tutti gli uomini del re recensione

 
Il remake dell’omonino film targato anni quaranta “Tutti gli uomini del Re” tratto dal romanzo di Robert Penn Warren, giunge anacronistico scegliendo toni magniloquenti per la narrazione e abusando del tema “potere e suoi derivati” senza aggiungere plusvalore né un memorabile contributo. Willie Stark (Sean Penn che in alcune pose somiglia in modo allarmante a Robert De Niro versione Al Capone e che, nella versione doppiata, parla con marcato accento meridionale da macchietta) è un “bifolco tra i bifolchi” come egli stesso si definisce. Scala tutti i gradini del potere sino a divenire governatore. Attorno a lui gravitano bracci destri (la borghese serpe apatica interpretata da Jude Law) e sinistri (quello fornito d’armi di Sugar Boy e del Bruto in attesa, James Gandolfini), addetti stampa, corollari di donnine compiacenti, investiture ufficia-  
 
li, compromessi e ricatti. In una girandola tagliente di intrighi e fantasmi del passato che riappaiono - soprattutto per il personaggio di Jude Law – si scivola leziosamente nei meandri oscuri dell’ars oratoria (farcite un discorso politico con le parole dio, salute, scuola e diritti e avrete la ricetta giusta per ogni buon discorso persuasivo) sino a cadere nella viscida comodità del potere e approdare alla comprensione della  
legge non scritta dei potenti per cui, se si deve predicare, che si predichi ma dal pulpito più alto. Come spesso succede a drammi che sciorinano molti rivoli narrativi e altrettanti personaggi, ci si affida alla voce narrante. Una mano registica più che salda faticherebbe nel gestire la coralità e nel servirla alla platea senza essere troppo confusionari, qui la mano vacilla incerta e si perde spesso e volentieri. Steven Zaillan, attivo come sceneggiatore (Gangs of New York, Schindler’s List) meno come regista (“A civil action”) tiene ondivago le fila della trama azzeccando qualche scena (il finale possiede la giusta aura visiva da tragedia greca) e cercando di alleggerire il carico d’inevitabile retorica ma non sempre coglie il bersaglio. Anzi, appesantisce con la musica, ridondante e fastidiosa, la sensazione di generale staticità.

(recensione di Daniela Losini )

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