TUTTI AL MARE - RECENSIONE
 
locandina tutti al mare
Locandina "Tutti al mare"

tutti al mare - recensione

 
Tutti al mare è l’opera prima di Matteo Cerami che, assieme al padre Vincenzo (nei panni anche di attore), ha scritto questa rivisitazione ai giorni nostri di Casotto, il film più conosciuto di Sergio Citti. Laddove a fare da palcoscenico per un’eterogeneità di protagonisti erano le tavole di legno di una cabina balneare (un casotto, appunto), stavolta è un chiosco sulla spiaggia di Castelporziano sul litorale laziale. Il giovane regista racconta, attraverso gli occhi di Maurizio (Marco Giallini), il proprietario del chiosco, un microcosmo di personaggi che si avvicendano sulla scena: la madre paraplegica di Maurizio, che lo comanda a bacchetta (Ilaria Occhini); il cognato, smemorato e cleptomane (Gigi Proietti); un pescatore di surgelati (Ninetto Davoli); una conduttrice tv (Anna Bonaiuto); un nostalgico ex fascista (Sergio Fiorentini);  
 
un suicida (Ennio Fantastichini); due hostess lesbiche (Ambra Angiolini e Claudia Zanella); uno iettatore (Franco Pistoni); una coppia di amici (Libero De Rienzo e Francesco Montanari). Tutti al mare, come il precedente Casotto, descrivendo una giornata al mare di alcune persone, la assume a pretesto per un’analisi disincantata del loro comportamento. Non c’è nulla di entusiasmante o di eroico nel loro modo   recensione tutti al mare
di comportarsi, così come non c'è nulla di totalmente condannabile. C'è però da dire che il ritratto che emerge da questa osservazione antropologica non è certo dei migliori: tutti i personaggi (o quasi) sono squallidi, meschini. “L'inconsapevolezza è la loro stessa ragione di essere” ebbe a dire Virgilio Fantuzzi parlando dei protagonisti di Casotto, e la stessa riflessione la si può estendere a quelli di Tutti al mare: Proietti è inconsapevole della propria malattia; Pistoni del suo essere iettatore; De Rienzo di essere stato raggirato dall'amico e dalla moglie; Giallini di non poter vivere una vita propria. Tralasciando gli intenti e parlando del film in quanto tale, occorre dire che questi regge bene finché in scena vi è Proietti, mattatore assoluto, ma nel momento in cui esce, verso la fine del primo tempo, il ritmo cala nettamente. E tra una citazione pasoliniana (Cosa sono le nuvole? ) e l'altra, il film si protrae stancamente verso la fine. Molti personaggi sono azzeccati come il nonno che racconta al nipote quanto sia stata bella la guerra in Etiopia, la conduttrice televisiva che fa pornografia del dolore altrui, oppure il “chioscarolo” che serve pesce surgelato e ha la cucina invasa da topi e scarafaggi; altri, invece, sembrano essere messi lì, nonostante tutto, solo per far ridere (riuscendoci) lo spettatore: è il caso di Proietti e Laganà. Poco incisive le due coppie Angiolini-Zanella e De Rienzo-Montanari, per quanto quest'ultima tenti di avvicinarsi a quella costituita da Citti e Proietti del prototipo, resta sospesa a metà strada, complice forse una “non-storia” rivista più volte. Non mancano stereotipi come le forze dell'ordine (polizia, carabinieri e guardia di finanza) che, con la scusa del controllo, mangiano e bevono a sbafo al chiosco. Comparsate per il direttore della fotografia Calvesi nei panni del “fantasma” etiope”, e del produttore Gianfranco Piccioli in quelli del prete nel sogno di De Rienzo. In conclusione, un film da vedere per passare una serata tranquilla. Non eccezionale.

(recensione di Stefano Bucci)


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