TULPAN
 
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recensione tulpan

 
È a metà strada tra la fiction e il documentario "Tulpan - La ragazza che non c'era", il primo lungometraggio di Sergei Dvortsevoy (conosciuto nel circuito dei festival soprattutto per i suoi cortometraggi e - appunto - documentari), che ha inaspettatamente vinto il premio 'un certain regard' all'ultimo festival di Cannes. Vera protagonista del film è senz'altro la steppa kazaka: arida, sterminata, sola, e con un respiro di tempo antico che in qualche modo affascina lo spettatore. Il giovane Asa, terminato il servizio militare in marina, torna a casa con l'intenzione di prendere moglie per poter avere un suo gregge e vivere di pastorizia come fanno la sorella e il cognato. Ma Tulpan, l'unica ragazza 'disponibile' della zona, non ne vuole sapere di lui per via delle sue grandi orecchie a sventola. Da qui, si snoda tutta la vicenda, che è inutile  
 
raccontare: al di là della storia in sé per sé, quello che ha evidentemente interessato il regista (anche co-sceneggiatore) è stato il ritrarre nella maniera più realistica possibile la vita e le abitudini di un popolo che, talmente lontano dal nostro, finisce con l'apparirci 'fuori dal mondo'. Così certamente l'attenzione per la fotografia, il ricorso a lunghi piani sequenza e, più in generale, un occhio di riguardo anche   recensione tulpan
per il più piccolo particolare (l'arredamento della tenda, tanto per fare un esempio) impreziosiscono la pellicola. Ma si rivelano, d'altro canto, un'arma a doppio taglio, perché rendono il tutto troppo lento, a tratti faticoso, e lasciano che il verosimile sconfini nel vero: distinzione sottile, ma fondamentale, trattandosi in realtà di fiction e non di documentario. Onore quindi alla natura, che esce dallo schermo e s'impone allo sguardo e ai sensi dello spettatore, ma restano comunque forti perplessità.

(di Giulia Mazza )


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