TROPIC THUNDER
 
locandina tropic thunder

recensione tropic thunder

 
Vietnam. Un manipolo di soldati americani si sta coraggiosamente difendendo dai Viet Cong: piogge di spari, esplosioni, uomini che si riversano nel loro stesso sangue, rabbia e sudore, lotta e morte. In questo scenario apocalittico due soldati uniti come fratelli rimangono insieme fino all’ultimo, scambiandosi in poche frasi il significato di una vita intera e…STOP! Siamo sul set di “Tropic Thunder”, il più costoso film di guerra mai realizzato, e la star, Tugg Speedman (Ben Stiller), non riesce a piangere nella scena clou della pellicola. Il co-protagonista del film, Kirk Lazarus (Robert Downey Jr.), è invece un attore pluri-premiato - talmente professionale da essersi fatto scurire la pelle per interpretare un soldato di colore - e mal sopporta l’incompetenza del collega; insieme a loro ci sono anche Jeff Portnoy (Jack Black), star della tv  
 
con problemi di droga promossa al grande schermo, il rapper Alpa Chino (Brandon T. Jackson) e l’attore alle prime armi Kevin Sandusky (Jay Baruchel). A causa dei litigi degli attori sul set, il regista (Steve Coogan) va fuori budget e il produttore (un irriconoscibile Tom Cruise) decide di far saltare la produzione. Esasperato dalla situazione e deciso a non gettare al vento il suo lavoro, il regista, convinto   recensione tropic thunder
dallo sceneggiatore - un reduce di guerra folle con il volto di Nick Nolte – porta gli attori nella giungla vietnamita, dove ha nascosto delle telecamere, per terminare le riprese. Ma gli attori non sanno che quella è una zona controllata da temibili trafficanti di droga. Seguono quindi clamorosi equivoci e situazioni surreali in cui il gruppo vive la sua guerra personale imparando qualcosa l’uno dall’altro e dal reale pericolo. A sette anni di distanza da “Zoolander”, in cui si prendeva gioco del mondo della moda, Ben Stiller torna dietro la macchina da presa, questa volta per mettere alla berlina gli isterismi delle star di Hollywood. Lo strano gruppo infatti racchiude in sé tutti i clichè della mecca del cinema, a cominciare dagli attori: la star palestrata che piace tanto al pubblico ma che non sa recitare, l’attore che si prende così sul serio da sentirsi Dio, lo showman della tv fracassone e greve, il rapper che fa il duro ma sotto sotto nasconde il fatto di essere gay, l’attore alle prime armi che viene insultato da tutti. Ma soprattutto il film denuncia alcune tendenze di Hollywood di cui nessuno ha il coraggio di parlare: il puntare sul ruolo del ritardato mentale o della persona con problemi fisici (che ha destato non poche polemiche in America) per ottenere l’Oscar, le richieste assurde delle star, lo strapotere dei produttori, la beneficenza e la pubblicità in favore degli animali per ingraziarsi l’opinione pubblica, la perdita del senso della realtà di chi lavora nel mondo del cinema. La macchina grottesca e assurda messa su da Stiller - con una sceneggiatura scritta a sei mani insieme all’attore Justin Theroux e a Etan Cohen - nonostante qualche esagerazione di troppo e qualche dettaglio macabro di cattivo gusto, funziona bene: si ride, e anche di gusto. Per i cinefili sarà un piacere ridere della parodia di tanti famosi film di guerra e di grandi star e per chi è meno ferrato in campo cinematografico bastano le strepitose performance degli attori, fantastici nella loro auto-ironia. Su tutti un fantastico Robert Downey Jr., che parla un perfetto slang da ghetto, e un Tom Cruise totalmente inedito: ingrassato e pelato, urla parolacce mentre balla su musica rap. E’ gia cult!


(di Valentina Ariete )


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