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recensione: tropa
de elite
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Un capitano del corpo
d’ordine Bope,
ovvero la Tropa de
Elite (sorta di polizia
militare che controlla
la polizia di stato
brasiliana) comincia
a non tollerare più
il peso del proprio
lavoro. Alle porte
della sua decisione,
vi è l’arrivo
del Papa (siamo nel
1997) in visita a
Rio con la conseguente
pressione organizzativa
e la responsabilità
del primo figlio.
In un fitto e quasi
impenetrabile reticolato
di rapporti, connivenze,
regole non scritte
si srotolano le vite
dei protagonisti:
nelle viscere della
favelas comandano
i ras e i narcotrafficanti.
La polizia ordinaria
conclude affari e
olia l’ingranaggio
di una finta tregua
tra le parti, con
la volubile moneta
della corruzione.
I gruppi d’assalto
Bope intervengono
risolutori e sanguinari
a ristabilire l’ordine.
Se qualcuno sgarra,
la repressione è
durissima. Metodi
discutibili, violenza
ribattuta con la violenza
irregimentata: |
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uno
studente
universitario
idealista
subirà
la trasformazione
necessaria
per
ereditare
freddezza
e capacità
di sopravvivenza,
un esaltato
dal
piglio
alla
rambo
avrà
l’astuzia
necessaria
per
rimanere
onesto
ma non
la medesima
fortuna
nell’epilogo.
Figure
marginali
e allo
stesso
tempo
vive
che
si muovono
sulla
grande
tela
del
racconto
documentaristico.
Orso
d’oro
all’ultimo
Festival
di Berlino,
girato
con
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piglio deciso
da José
Padilha e
preceduto
da un forte
clamore per
il successo
ottenuto in
Patria, grazie
alle polemiche
scatenate.
La parte più
debole è
la fase di
addestramento
che appare
come un brutto
riassunto
di tutti i
cattivi tenenti
addestratori
passati sullo
schermo. Robusto
e serrato
, pecca in
ingenuità
e retorica
quando tende
a schematizzare
i buoni e
i cattivi
con l’accetta
della verità
assoluta ma
allo stesso
tempo non
giudica, mostra
e lascia allo
spettatore
ogni decisione
sulla morale.
(di Daniela
Losini )
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film "tropa
de elite"! |
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