TONY MANERO
 
locandina tony manero

recensione tony manero

 
E' un bel film "Tony Manero". Soprattutto se si ha voglia di tagliarsi le vene. Storia di (stra)ordinario squallore quotidiano. Squallore sociale, squallore umano, squallore sociale che provoca squallore umano. Siamo in Cile nel 1979, sotto il repressivo regime di Pinochet, quello dei desaparecidos e dei processi sommari alle intenzioni. Storia che si ripete con disarmante frequenza. Mentre per strade deserte scorrazzano camionette di vigilantes e ci si ammazza per una scatoletta di tonno scaduta da un anno, nelle sale si proietta "Saturday night fever" con il vero Tony Manero che piroetta in abito bianco e camicia nera sulle celebri note dei fratelli Gibb. L'altro, il nostro "Tony Manero", è l'essere più abbietto che si possa immaginare. Circondato da una bruttura generalizzata che che non lascia scampo e che ti entra fin dentro le ossa, di  
 
motivi per vivere, come per morire, pare non averne pił. Se non fosse per l'idea di costruire un pavimento in vetro su cui esibirsi in un localaccio di quart'ordine emulando l'altro, il vero idolo delle balere che incombe gigante sul grande schermo, che vede e rivede imparando a memoria le battute (e guai a cambiarlo, "Saturday night fever", anche se per sostituirlo con "Grease" dove "lavora lo stesso signore di   recensione tony manero
quello di prima"). Ecco, per un pavimento in vetro retroilluminato al neon si può uccidere e morire indifferentemente nel Cile del 1979. Gli altri personaggi non sono migliori di lui, nessuno escluso, non esiste personaggio positivo nel film di Pablo Larrin, tutti inchiodati ad un'esistenza grama che finisce per corrompere anima e corpo, tutti brutti, sporchi e cattivi, tutti ignobili, invidiosi, avidi, rancorosi come bestie affamate e incarognite che si inseguono, si cercano, si osservano, si amano e si odiano. In questo panorama di desolante orrore esistenziale il ballo di Tony Manero non è evasione, non è chimerica via di fuga agognata per quanto impossibile ma si configura ancora più drammaticamente come un' ossessione qualunque, cui aggrapparsi per continuare a vivere o morire. Indifferentemente.

(di Mirko Nottoli)


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