THYSSENKRUPP BLUES
 
locandina thyssenkrupp blues

recensione thyssenkrupp blues

 
"Il film racconta i miei giorni appena uscito dalla Thyssel: i 2 registi tenevano la videocamera accesa 24 ore su 24. Ma ho smesso di farci caso come si fa con gli amici che tengono la sigaretta accesa tutto il tempo" (cfr.) A parlare è Carlo Marrapodi, operaio cassintegrato della Thyssel di Torino, in un film che esce - ora - dopo uno sviluppo drammatico e inatteso: doveva essere la "sua" storia ma è anche la storia dei 7 compagni morti nel tragico rogo tra il 5 e il 6 Dicembre 2007. Lo sguardo dell'uomo, prima e dopo l'ombra: lo sguardo di un 29enne che - a parte tatuaggi e piercing - sembra invecchiato all'improvviso di cent'anni. Ha visto/udito cose che altri non immaginano: non è Blade Runner ma la realtà italiana, circoscritta anche attraverso film come questo, quella di un paese che ha dimenticato i diritti dei lavoratori e  
 
ancora di più quando pretende di poterli difendere/preservare (la responsabilità indiretta delle organizzazioni sindacali, colpevoli di non fare abbastanza per minare il fenomeno delle "morti bianche"). Il film di Balla e della Repetto è uno sguardo indiscreto sulla vita di Carlo, sugli affetti e sulle radici (l'amata Calabria) colto con un'impressionante capacità di esprimere nei primi piani tutto il senso di perdita e dolore del   recensione thyssenkrupp blues
protagonista. Sembra quasi di rivedere il lirismo del primo Olmi, o il naturalismo asciutto di Vittorio De Seta. "Questa storia non è mai stata scritta" sentenzia il film, quasi una beffarda, macabra ironia sull'azione autocensoria dei media a mesi dalla tragedia della Thyssel. "E ti vengo a cercare", già trasfigurazione camp di Moretti è uno smacco involontario, ma non è difficile cogliere nella "Contessa" dei Decibel (atta a sostituire nei ricordi l'epico inno ononimo di Pietrangeli) il bisogno di mettere la parola "fine" a un decennio ideologicamente troppo lontano. La sequenza di Carlo che sale nei colli del Cosentino mentre si odono in lontananza le voci dei manifestanti che protestano nelle piazze, lascia esterefatti: un momento di cinema sociale come non se vedeva da tempo. Carlo che combatte un diritto che non c'è, che finisce tra i cassintegrati, che è costretto suo malgrado a conoscere i meccanismi che hanno portato alla morte di 7 colleghi di lavoro (7 non di meno). Ammesso che si possa ancora usare onoratamente la parola "compagni". E tutto questo in un paese democratico dove, per vivere, si può morire".



(di Luca D'Antiga )


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