THUMBSUCKER
 

thumbsucker recensione

 
Un diciassettenne (Lou Pucci, tratti angelici e vibranti) si succhia avidamente il pollice. Ha una madre che fa l’infermiera (Tilda Switon, sempre perfetta) e che sogna di avvicinare un divo della tv (Benjamin Bratt, diventerà suo paziente alla clinica di disintossicazione nella quale lavora), un padre chiuso e introverso (Vincent D’Onofrio, una sicurezza) e un fratello minore aggressivo e sincero. Suo malgrado e con l’aiuto di un dentista che mastica sciocchezzuole new age (Keanu Reeves, versione ordinario gentleman), smette di suggersi l’appendice ma finisce col cadere in un’altra dipendenza. La timidezza cronica che lo contraddistingue è scambiata per inconcludenza e diagnosticata come sindrome da iperattività. Si pensa bene di rispondere al problema con una terapia farmacolo-  
 
gica (cito testualmente: il farmaco utilizzato è a tre molecole di differenza dalla cocaina) in accordo con la psicologa della scuola. La cura funziona e il ragazzo dice, si sente se stesso. Comunica, anzi si distingue, esprimendo il proprio potenziale di studente modello e partecipa, vincendo, a gare di dibattito (è snervante che in America tutto diventi selvaggia competizione). Lo accompagna il soddisfatto professore (Vince  
Vaughn), che finirà però col voltargli le spalle bilioso. Smetterà con le pillole ma inizierà a fumare canne. Complice l’attraente compagna di corso, tutta occhi e labbra: un vero invito a banchettare con le delizie del goffo/tenero sesso tra adolescenti. Ma anche qui, non tutto fila liscio. Discontinua commedia indipendente che non gigioneggia troppo né si autocompiace, lontana dal noioso egocentrismo alla "Napoleon Dynamite" e di “Rushmore” di Wes Anderson. Parte in sordina dispersiva e con fatica si guadagna la giusta attenzione nella seconda parte, più coesa. Capitola volonterosa alla morale che nessuno cresce mai veramente, nè si libera di quel disadattato/disadattata che abita in tutti noi. Il passaggio all’agognata indipendenza, forse è un biglietto per New York o forse è non farsi troppe e inutili domande esistenziali.

(di Daniela Losini )

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