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Michael Winterbottom
è uno dei più
interessanti registi
inglesi del cinema
contemporaneo: suo
il bel “Cose
di questo mondo”
(2002), vincitore
dell’Orso d’oro,
che raccontava l’odissea
di un bambino afgano
che - via Pakistan
- passava in Iran,
in Turchia, in Italia
e raggiungeva Londra.
Con l’aiuto
di Mat Whitecross
(ex assistente al
montaggio, realizzatore
di diversi video musicali)
ha ora realizzato
un altro film dal
forte impatto emotivo
e che all’ultimo
Festival di Berlino
ha ricevuto il premio
per la miglior regia.
“The Road To
Guantanamo”
intreccia interviste,
materiali televisivi
e scene ricreate per
raccontare la storia
vera di Shafiq Rasul,
Asif Iqbal e Ruhal
AhmedVi, tre cittadini
inglesi di origine
pakistana (ribattezzati
i “Tipton Three”
perché tutti
provenienti dalla
stessa cittadina delle
Midlands), due ancora
adolescenti e il terzo
ventu- |
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nenne,
che
passano,
per
varie
circostanze,
dall'Inghilterra
al Pakistan
all'Afghanistan
a Guantanamo,
dove
trascorreranno
quasi
due
anni
senza
poter
essere
accusati
di nulla.
Visto
l’argomento
e la
sua
drammatica
attualità
è
impossibile
analizzare
l’opera
dal
punto
di vista
strettamente
cinematografico.
Va sicuramente
vista,
per
discuterne,
per
cercare
di comprendere
cosa
stia
accadendo
alla
"civiltà"
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occidentale,
per interrogarsi
come possa
accadere che
simili avvenimenti
siano del
2001, che
li si racconti
nel 2005 e
che solo il
6 settembre
2006 la Presidenza
USA ammetta
l’esistenza
di prigioni
segrete della
Cia! Giustamente
la maggioranza
della critica
si è
soffermata
su quanto
il film narra
e che non
può
non indignare:
“se
fosse vera
anche solo
la metà
delle torture
da loro raccontate
come subite
ad opera dei
soldati americani
questo sarebbe
già
più
che sufficiente
per parlare
di barbarie”,
“nulla
che già
non sapessimo
o potessimo
immaginare,
ma naturalmente
vedere è
un’altra
cosa, l’impatto
è innegabile”,
“la
storia agghiaccia
e trasmette
un desolante
senso di impotenza”,
“nemmeno
un vero terrorista,
nemmeno Bin
Laden in persona,
andrebbe trattato
con i metodi
criminali
che vediamo
riprodotti
qui”,
“Michael
Winterbottom
e Mat Whitecross
hanno creato
un film straordinario
sulla malvagità
umana e l'
impotenza
delle vittime”…
Il film potrà
non essere
gradito a
tutti ma è
da lodare
senza riserve
per essere
quasi una
perla rara
nel panorama
della cinematografia
odierna che
sembra privilegiare
giocattoloni
fracassoni,
demenziali
vicende giovanilistiche,
maldestri
e risibili
horror…
Non è
da poco un
lavoro che
invita a riflettere
sull'assurdità
e la follia
di certo comportamento
umano e che
mostra senza
reticenze
l’attualità
della sopraffazione
di uno sull’altro,
del forte
sul debole.
Un solo appunto
a “Road
to Guantanamo”.
Si ha l’impressione
che i due
registi facciano
di tutto tanto
per convincere
gli spettatori
che i tre
protagonisti
fossero bravi
ragazzi ed
essere così
sicuri della
loro indignazione.
Ma Guantanamo
sarebbe meno
scandaloso
se ci fossero
solo dei sicuri
colpevoli?
Nel 1996 Tim
Robbins, col
suo “Dead
man walking”,
mostrando
un personaggio
violento e
odioso nel
braccio della
morte in attesa
dell'esecuzione,
ebbe maggior
coraggio nel
denunciare
la follia
della pena
capitale,
indipendentemente
da chi debba
colpire. Una
Democrazia
è veramente
degna del
suo nome quando
qualsiasi
violazione
del Diritto
non possa
verificarsi,
senza “se”
e senza “ma”.
p.s. “The
road to Guantanamo”
uscendo contemporaneamente
al cinema,
in tv, in
dvd e su internet
abbatte il
primato di
“Bubble”
di Steven
Soderbergh
che lo scorso
27 gennaio
era uscito
contemporaneamente
al cinema,
in tv e in
dvd.
(di Leo
Pellegrini
)
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