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Frank Darabont e Stephen
King continuano il
felice sodalizio artistico
che li ha visti uniti
in “Le ali della
libertà”
e il “Miglio
Verde”. Assistere
a “The Mist”
significa catapultarsi
in una dimensione
immaginifica nella
quale (da lettori
affezionati e attenti
delle opere kinghiane
quali siamo) ci immergiamo
volonterosi. Poche
volte (le eccezioni
sono “Carrie
lo sguardo di Satana”
o “Misery”
solo per citare i
film più compiuti
senza farsi scudo
del “solito”
e inarrivabile “Shining”)
il cinema, nonostante
i ripetuti tentativi,
è riuscito
a cogliere appieno
la grande forza evocativa
del romanziere statunitense.
Una nebbia spessa
e silenziosa ricopre
improvvisamente una
cittadina lacustre
- siamo nel Maine
- recando con sé
l'apocalisse. Un illustratore
(Thomas Jane, “The
Punisher”) saluta
la moglie mentre si
raggiunge il supermercato
col |
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figlio.
La banalità
dei
gesti
quotidiani
è
travolta
dall'incalzare
degli
eventi:
nella
bruma
qualcuno
urla
e orribili
suoni
avvertono
di presenze
sconosciute.
Il microcosmo
umano
si barrica
nello
store:
il vicino
di casa
litigioso
e paranoico
(Andre
Braugher,
“Poseidon”),
il commesso
nerd/strambo
(Toby
Jones,
l’altro
Truman
Capote
di “Infamous”),
la donna
anziana
con
le palle,
la strega
del
paese
(Marcia
Gay
Harden,
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spiritata,
bravissima,
odiosa) predicatrice
folle, il
tipico americano
conservatore.
Più
dei mostri
(affamati
a ragione
e risvegliati
dalla supponenza
umana) possono
le meschinità
e le psicosi.
Più
dei tentacoli
avidi di carne
e delle piaghe
bibliche fatte
realtà
poterono le
miserie della
sfiducia e
dell'oscurantismo.
Più
dell'orrore
dell'ignoto,
uccide il
sonno della
ragione. La
sensazione
in platea
è di
viaggiare
nel tempo
e ritrovarsi
in un cinema
polveroso
e forse un
po' in decadenza
in attesa
del sobbalzo,
che indovini
per manifesta
malizia da
spettatore
horror avvezzo
a quasi tutto,
ma che al
contempo sa
coglierti
in contropiede.
Darabont dosa
con scafata
esperienza
e tocco retrò
tutti gli
ingredienti
del racconto
metaforico.
Adotta un
taglio classico,
forse datato
ma sempreverde
al cospetto
di miriadi
di filmacci
che si fregiano,
a torto marcio,
dell'etichetta
horror. Da
queste parti
genere considerato
con grande
rispetto e
che spesso
riesce a raccontare
la realtà,
meglio del
cosiddetto
cinema d'autore.
I mostri sono
nella nebbia
(apprezzabile
la quasi inesistente
spiegazione
della loro
esistenza,
il loro rimanere
nell'ombra,
la grossolanità,
la primitiva
voracità)
ma più
temibili sono,
perché
nascosti,
i mostri che
dormono dentro
di noi in
attesa del
risveglio.
Alimentati
dalla superstizione
(la più
organizzata
e organica
non a caso
è la
religione),
dal sospetto
e dal panico.
L'oscuro siamo
noi. Ne sia
esempio il
tragico, doloroso,
inevitabile,
terribile
finale. Nel
fuoco dell’angoscia,
muoiono tutte
le speranze.
(di Daniela
Losini )
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