THE ILLUSIONIST
 

the illusionist recensione

 
Ogni film è sempre, in rapporto a differenze di forma e grado, un prodotto realizzato grazie al concorso integrato di un gruppo di individui. E’ il caso di “The Illusionist”, thriller-sentimentale, ambientato in una Vienna inizio ‘900, film di ottimo valore artistico, grazie alla regia e la sceneggiatura di Neil Burger, e all’ottima recitazione di un cast di attori , tra i migliori di Hollywood. Tratto da un breve racconto di Steven Millhauser (premio Pulitzer), “The Illusionist” racconta la storia dell’illusionista Eisenheim (Edward Norton), fin da quando, adolescente di famiglia proletaria, si innamora della dolce e tenera Sophie (Jessica Biel), purtroppo di ceto nobile. L’amore tra i due giovani, anche se impetuoso e sincero, viene ostacolato con la forza. Eisheneim vagabonda per il mondo, ma dopo quindici anni torna a Vienna,  
 
ormai con la fama di essere un grande dell’illusionismo, un incantatore di popolo. Il teatro dove si esibisce Eisenheim è sempre affollatissimo, ed è proprio tra gli spettatori, che una sera ci sarà la contessa Sophie, promessa sposa dell’erede al trono austriaco, il principe Leopoldo (Rufus Sewell). Magia, illusione, arte del sortilegio riporteranno di nuovo Eisenheim e Sophie sulla strada del loro incondizionato amore  
non senza dover combattere contro convenzioni ed obblighi sociali, scontrandosi con la follia del principe Leopoldo e la scrupolosa tenacia dell’ispettore di polizia Uhl (Paul Giamatti). Coinvolgente in crescendo, “The Illusionist” è un film che sorprende non poco per l’intreccio delle situazioni, dove l’illusione domina la scena in modo speculare alla realtà che presenta. Senza vuoti di scena, il film è pervaso da una suspence intrigante, godendo di una recitazione ottima, grazie all’interpretazione sempre impeccabile di Edward Norton, maschera compassata e silenziosa, ma straordinariamente intrisa di mistero, e alla performance sublime di Paul Giamatti, voce narrante e figura chiave di tutto l’evolversi della storia. Notevole è la strategia dell’illuminazione scenica, una luce ambigua che avvolge l’ambientazione d’epoca, con una precisa funzione drammaturgica, che contribuisce a costruire in modo omogeneo le emozioni e le azioni misteriose che il racconto per immagini comunica. La luce in questo film caratterizza le scene, definisce la profondità delle inquadrature, la disposizione delle figure sui diversi piani, sottolineando le zone importanti, restituendo alla fotografia di Petra Habova il suo giusto merito artistico. Se la luce avvolge con arte il film nella giusta aura magica, le musiche di Philip Glass rafforzano l’emozione dell’attesa, della suspence. In sintesi il film potrebbe avere tutti i punti a suo favore, se non fosse per il finale che, forse costruito per stupire fino in fondo, invece implode in una chiusura che rasenta il banale. Peccato!


(recensione di Rosalinda Gaudiano)


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