THE HORSEMEN
 
locandina the horsemen

recensione the horsemen

 
Non ancora distribuito in America ma subito pronto per il mercato europeo, Horsemen parte come il classico thriller in stile Seven (ricordiamolo, č del 1995) e quindi inevitabilmente datato alla luce di una letteratura cinematografica fornitissima e di fiction ipercurate come Crime Scene Investigation e Criminal Minds, deputate a ritrarre assassini seriali e tecniche investigative. Indossa la faccia spiegazzata a dovere e il giubbotto di pelle ciancicato, Dennis Quaid agente specializzato nello studio dei denti, branchia dell'investigazione forense la cui logica, a un certo punto, si perde anch'essa nella trama bislacca. Tanto pių che nel malefico trailer in programmazione viene svelato tutto e troppo, tenuto conto che i primi quaranta minuti ruotano attorno alla scoperta del chi, come e perché. Servita l'Apocalisse di torture: vittime  
 
all'apparenza senza alcun legame tra loro vengono giustiziate secondo i crismi dei Quattro Cavalieri: Guerra, Carestia, Conquista e Morte. Al malinconico detective protagonista, distratto da un lutto familiare, assorbito dal lavoro e che trascura i figli - nella camera del pargolo adolescente non mette piede da tre anni - tocca giocare al gatto col topo e coi gioielli della morte. Dipartimento di polizia e manipolo di   recensione the horsemen
killer rimangono appesi nel vuoto pneumatico della trama come i malcapitati agganciati a infernali macchine di sofferenza (da non confondersi con Jigsaw che sa il fatto e la morale sua). Parte deciso, gode della presenza della cattiva Crudelia di turno che porta in dote gli occhi a mandorla e gli ammiccamenti di Zhang Ziyy (La Tigre e il Dragone, Memorie di una Geisha) e poi si sdilinquisce bolso e tristo. Dirige il malcapitato Jonas Akerlund, documentarista pop. Sarebbe stato un patinato e decente giallaccio polveroso se la trappola della retorica non fosse scattata così manifesta, irreversibile, tronfia e banale. 

(di Daniela Losini)


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