THE GOOD SHEPHERD
 

recensione the good shepherd

 
“Non si può capire il presente, senza capire come e perché ci siamo arrivati”. Edward Wilson (Matt Damon) è una persona dotata di un carattere estremamente riservato, all’apparenza non tradisce i suoi sentimenti, ed ha fortissimo il senso di attaccamento alla sua nazione: gli Stati Uniti d’America. Dopo un’infanzia agiata, ma segnata dalla tragica morte del padre, Edward Wilson durante gli studi universitari presso l’Università di Yale, viene scelto per entrare a far parte della società segreta degli Skull and Bones, una sorta di confraternita molto chiusa il cui obiettivo è produrre i futuri leader del Paese. Wilson ha tutti i requisiti per diventare candidato ad una brillante carriera nel mondo dello spionaggio: intelligenza, discrezione, reputazione e fiducia cieca nei valori fondanti dell’America. Ed è così che Edward,  
 
durante il secondo conflitto mondiale, viene assunto presso l’OSS (Ufficio Servizi Strategici), predecessore della CIA. La vita di Wilson è tutta interamente dedita, in tutta segretezza alla politica del suo paese. La sua posizione all’interno dell’organizzazione assume carattere forte, tanto che, al momento della nascita della CIA, ne diventa uno dei fondatori. La sua vita privata non esiste. Il giovane Edward vive per il  
suo idealismo politico, che man mano verrà eroso dalla sua natura sospettosa e guardinga nei confronti di un mondo ormai prossimo ad una metamorfosi della configurazione geopolitica, e che darà spazio a quel lungo periodo di paranoia che fu la Guerra Fredda. Sfide aperte tra CIA e KGB, spionaggi internazionali e tradimenti politici, teatri di partite nello scacchiere mondiale, in cui Edward Wilson diventerà un perno indiscusso, uno dei più validi attori. Non senza pagare però prezzi molto alti, come l’allontanamento della moglie Glover (Angelina Jolie), ed il sofferto rapporto con l’adorato figlio Edward jr. (Eddie Redmayne). “The Good Shepherd” è un film che nonostante i suoi 167’ di durata, tiene egregiamente il ritmo di una narrazione sapientemente articolata nel suo genere compassato che dà l’esatta e spiazzante idea del bunker ideologico, operativo e coercitivo proprio di organizzazioni totalizzanti come la CIA. E questa notevole particolarità è merito di una regia studiata nelle minuzie, chirurgica, affidata ad una star intramontabile del cinema americano: il premio Oscar Robert De Niro. Uno sguardo lucido, chiaro, che De Niro ha maturato attraverso anni di ricerche condotte sulle dinamiche delle organizzazioni segrete, con il preciso intento di realizzare un film-denuncia che portasse allo scoperto le fondamenta stesse dei servizi, e raccontasse al pubblico il modo in cui questi uomini in gran parte coperti dall’anonimato, liberi-imprigionati, abbiano controllato il mondo di tutti, pagando costi inauditi, personali e professionali. Nel momento in cui De Niro ha tra le mani una copia della sceneggiatura di “The Good Shepherd-L’ombra del Potere” scritta da Eric Roth, comprende che ha il filo conduttore per concretizzare un film-denuncia sullo spionaggio e controspionaggio. Tutto in questo film è cinema vero. Dalla regia alla scenografia della candidata all’Oscar Jeannine Oppewall, alla straordinaria fotografia del premio Oscar Robert Richardson, al montaggio articolato in segmenti scenici spazio-temporali di Tariq Anwar, alla recitazione affidata ad un cast stellare del cinema hollywoodiano. Matt Damon ancora una volta si rivela un grande interprete, un grande attore, da annoverare tra i più ricercati del cinema internazionale.


(recensione di Rosalinda Gaudiano )


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