THE CONSPIRATOR - RECENSIONE
 
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Locandina "the conspirator"

the conspirator - recensione

 
Robert Redford continua a dissezionare la storia degli Stati Uniti d’America con il chiaro intento di metterne in evidenza ipocrisie e contraddizioni. Se in “Leoni per agnelli” si concentrava sulla storia più che recente, in “The Conspirator” compie un balzo indietro di oltre un centinaio di anni per risalire alle radici della moderna e tanto decantata democrazia americana. Siamo a Washington nel 1865. Il presidente Abramo Lincoln, fresco trionfatore nella Guerra di Secessione, viene assassinato da un gruppo di giovani confederati. Arrestati, processati e condannati all’impiccagione, tra loro vi è anche una donna, Mary Suratt, il cui coinvolgimento nel complotto non verrà mai del tutto accertato. Come recita un vecchio detto, “onesto è colui che cambia il proprio pensiero per accordarlo alla verità. Disonesto è colui che cambia  
 
la verità per accordarla al proprio pensiero”. Quanto siamo disposti ad andare oltre noi stessi per difendere i principi in cui crediamo? “Non sono d'accordo su quello che dici ma mi batterò sempre affinché tu possa dirlo”. In quanti potrebbero sottoscrivere questa affermazione? In quanti potrebbero farlo anche nel caso in cui ciò significasse rovesciare l'assunto di partenza? Ci professiamo tutti democratici ma quali sono   recensione the conspirator
i limiti della democrazia? Democrazia significa tollerare e ascoltare anche chi trama per farla cadere? I concetti di Bene e Male esistono o esistono solo nella misura in cui aderiscono all'idea che abbiamo di essi? Gli interrogativi del democratico Redford suonano un po' manichei ma di certo non privi di appeal. Sono interrogativi retorici perché portano già in sé la risposta che un film a tesi come “The Conspirator” non fa che ribadire. Ma sono anche interrogativi la cui risposta non si può che risolvere in un'aporia, Redford, che non è uno stupido, sembra saperlo bene, e allora il suo apparente schierarsi (dalla parte del Giusto? Dalla parte del Bene? E se il Bene dovesse trasformarsi in Male, sarebbe Bene ugualmente?) diventa solo uno specchietto per le allodole che nasconde sotto sotto l'impossibilità di farlo, l'impossibilità di prendere posizione in un dibattito che viene ad assomigliare ad uno dei celebri paradossi di Zenone, tanto intriganti quanto volatili. Capace di far riverberare nelle pieghe della storia echi di attualità che si ripetono con preoccupante frequenza, Redford realizza un film di impeccabile gusto classico, impreziosito da un cast stratosferico (James McAvoy, Robin Wright, Kevin Kline, Justin Long, Colm Meaney, Tom Wilkinson, Evan Rachel Wood), metà documento storico, metà dramma giudiziario che sfrutta appieno le potenzialità dell'aula di tribunale che, come sappiamo, al cinema funziona fin dalla notte dei tempi (pur rimanendo sempre uguale). Nel finale veniamo informati che il protagonista (James McAvoy identico a Silvio Muccino, il che dà alquanto fastidio), lasciata l'avvocatura, diventerà il primo cronista del Washington Post. Ebbene sì, lo stesso quotidiano che un secolo più tardi denuncerà lo scandalo Watergate. E chi in “Tutti gli uomini del presidente” interpretava proprio uno dei due giornalisti del Washington Post? Non Dustin Hoffman, l'altro.

(recensione di Mirko Nottoli )


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