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the black dahlia recensione
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Alla fine degli anni Quaranta una starlet di Hollywood, Betty Short, venne trovata brutalmente uccisa; il cadavere nudo, tagliato in due all’altezza della vita, senza organi interni e completamente dissanguato. L’assassino aveva sodomizzato e bastonato la sventurata ragazza, infierendole, come se non bastasse, un orribile sfregio: aveva tagliato la bocca da un orecchio all’altro, condannandola alla vita eterna con il volto segnato da una raccapricciante smorfia clownesca. È lei la dalia nera, alla quale lo scrittore californiano James Ellroy si sarebbe ispirato quarant’anni dopo per scrivere l’omonimo romanzo. Ma, in realtà, la storia è imperniata sull’amicizia tra due boxeur/poliziotti,
messa a dura prova dalla risoluzione di questo intricato caso d’omicidio, tra torbidi inganni e sessualità deviate. Il noir, firmato |
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niente meno che da Brian De Palma, è stato scelto come film d’apertura alla sessantatreesima Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica di Venezia, soprattutto in virtù del suo cast alquanto glamour. Dalla due volte premio Oscar® Hilary Swank ad Aaron Eckhart, attualmente sugli schermi con “Thank you for smoking”, acclamata opera prima del regista Jason Reitman. Ma l’attenzione del Lido è stata |
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tutta rivolta alla coppia nata proprio sul set di questo film; ci riferiamo alla “Lost in translation” Scarlett Johansson e all’“O come Otello” Josh Hartnett, che sulla passerella veneziana hanno portato un po’ di vento hollywoodiano vecchia maniera. Sembrerebbe dunque tutto in ordine in “The black Dahlia”: grande regista, interpreti alla moda, romanzo di successo, realizzatori di chiara fama (si pensi al nostro premio Oscar® per la scenografia Dante Ferretti). Tuttavia, qualcosa non funziona. Il film non spicca mai il volo, non convince mai fino in fondo. Certo, portare sullo schermo un romanzo così riuscito - ma anche così complesso - era impresa assai ardua, ma la realizzazione filmica nel suo complesso in più di una circostanza non convince, ingabbiata da un velo patinato che ne frena l’intensità. Pensiamo, per esempio, alla fastidiosa voce fuori campo o alla fotografia ambrata, francamente un po’ troppo leziosa; o, ancora, alla difficoltà di decifrare alcuni snodi della trama, in particolare sul finire del film. Ad onor del vero, però, bisogna dire che a queste pecche si contrappongono un buon ritmo narrativo e un montaggio davvero da manuale, che con gran facilità passa da inserti in bianco e nero a splendidi pianisequenza, fino ad arrivare ad un uso della soggettiva che lascia veramente senza fiato. Purtroppo però non basta. Verrebbe da chiedesi come sarebbe stata la realizzazione di “The Black Dahlia” da parte di David Fincher (per il quale la sceneggiatura era stata pensata in origine), se è caduto in fallo anche De Palma, al quale questo soggetto sembrerebbe confarsi perfettamente, soprattutto per la presenza di vari temi hitchcockiani a lui molto cari.
(di Marco Santello )
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