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Diciamolo una volta
per tutte: i musical
andrebbero aboliti
per legge! Quantomeno
al cinema, quantomeno
quando continua a
non capirsi il motivo
per cui uno nel bel
mezzo di un dialogo
debba mettersi d’improvviso
a cantare. E’
un genere teatrale,
lasciamolo al teatro.
Detto questo, Sweeney
Todd taglia le gole
che è una meraviglia.
E quanto è
bello il tonfo sordo
che emettono i corpi
gettati nella botola,
sfracellandosi sul
pavimento. Suoni di
crani spaccati, tagli
di lame affilate,
carne umana macinata
e poi servita in deliziosi
pasticci. Tim Burton,
genio assopito per
chi scrive dai tempi
di Mars attacks, ritrova
qui verve, creatività,
capacità di
osare: abbandona pacchiani
buonismi (big fish,
la fabbrica di cioccolato),
fa scorrere sangue
a fiotti, arricchisce
una tavolozza composta
ormai d’usurate
tonalità grigiastre,
con |
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cromie
nuove
tra
cui
brilla
il rosso
vermiglio,
vira
il suo
amato
gotico
verso
il manierismo
e il
barocco
(si
ammiri
l’ultima
inquadratura,
una
deposizione
laica
dove
il rosso
contrasta
col
nero
come
fa eros
con
thanatos).
Cita,
copia,
scopiazza
se stesso
e gli
altri
che
tanto
quel
tipo
di ambientazione
dark,
funerea
e preromantica,
l’ha
inventata
lui
e molti
sono
stati
gli
epigoni.
Un po’
dracula,
un po’
jack
lo squartatore,
un pò |
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il corvo,
un po’
Leonarda Cianciulli.
Guardatelo
Sweeney Todd:
è un
Edward mani
di forbice
invecchiato
e indurito,
che i troppi
torti subiti
hanno reso
disincantato
e spietato.
Non a caso
la soffitta
dove torna
è praticamente
la stessa.
Torna dopo
15 anni. Edward
è del
1990. Più
o meno ci
siamo. Stesso
pallore, stessa
acconciatura
con una sola
striatura
di bianco
e cosa dice
ad un certo
punto? Che
il suo braccio
è finalmente
completo quando
tiene stretto
un rasoio
nella mano!
Rasoio, lama,
forbici e
il cerchio
si chiude.
Anche se non
saranno capelli
né
siepi ad essere
tagliati perché
a tremenda
ingiustizia
subita segue
tremenda vendetta
inflitta,
cieca al limite
della stoltezza,
che nonostante
sia un piatto
che va servito
freddo, la
vendetta,
si sa, non
paga. Sviluppo
narrativo
asciutto e
asciugato
com’è
tipico del
genere. Ma
stavolta dietro
a tanta sontuosa
invenzione
visiva c’è
il dramma
che mancava
altrove. Helena
Bonham Carter,
immancabile.
Alan Rickman,
ineccepibile.
Sacha Baron
Cohen, fugace.
E ovviamente
Johnny Depp.
Ci costa dirla
ma è
bravo e convincente
pure lui,
smessi i panni
del buster
keaton dei
poveri o del
sex symbol
pseudo-alternativo,
riesce finalmente
a guardare
in camera
senza muovere
un muscolo.
Che ringrazi
ancora una
volta e per
sempre Mr.
Burton. Altro
che pirati
patacca ai
confini del
mondo o gitani
sentimentali
al gusto di
cioccolato.
(recensione
di Mirko
Nottoli
)
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