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superman returns
recensione
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Superman come Batman.
Dopo le degenerazioni
degli ultimi capitoli
occorreva fare ordine,
tornare alle origini,
riprendere le fila
dei discorsi. Di acqua
ne è passata
sotto i ponti, di
cose ne sono accadute
dentro e fuori lo
schermo e il primo
dei supereroi rischiava
di essere tagliato
fuori se non ci si
inventava qualcosa
per giustificarne
assenza e ritorno.
E così è
stato. Il nuovo Superman
di Superman returns
è tutto nuovo
– anche se con
un’aura demodé
che gli dona –,
si riallaccia al primo
episodio e ignora
giustamente gli altri.
Ora che i film tratti
dai supereroi dei
fumetti sono diventati
un vero e proprio
sottogenere cinematografico,
blockbuster da svariati
milioni di dollari
a botta, la trasposizione
su grande schermo
non può accontentarsi
di essere una semplice
avventura per ragazzi.
Ecco allora che le
operazioni in |
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tal
senso
divengono
radicali:
sceneggiare,
romanzare,
ispessire
ciò
che
per
definizione
spessore
non
ha –
la carta
–
, lavorare
di cesello
su introspezioni
e psicologie,
appianare
le buche,
spiegare
anche
quello
che
–
trovandoci
nel
regno
della
fantasia
–
forse
di spiegazioni
non
avrebbe
bisogno,
il tutto
per
donare
verosimiglianza
pur
nella
norma
dell’abnorme.
Brian
Singer
mette
molta
carne
al fuoco
e (pur |
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continuando
a sospettare
che sia un
sopravalutato)
quello che
ne esce è
un vero kolossal,
dove si mescolano
poesia e azione,
piccoli sguardi
e imprese
titaniche,
sentimenti
ed effetti
speciali –
stavolta sì
– davvero
da urlo (la
sequenza dell’aereo
su tutte).
Superman torna
così
ad essere
quello che
è (non
sfuggirà
ai più
attenti la
citazione
della prima
copertina
del fumetto,
un’icona
ormai, in
cui Superman
solleva un’auto
sopra la testa
o la resurrezione,
per pochi
secondi purtroppo,
di Marlon
Brando nei
panni del
padre Jor-El):
l’eroe
a tutto tondo
senza macchia
e senza paura,
colui che
può
tutto ma che
soffre per
amore, il
figlio mandato
dal padre
per salvare
il genere
umano (se
c’erano
dei dubbi
qui la metafora
messianica
di Superman
novello Gesù
Cristo è
evidente –
si veda nel
finale quando
cade dallo
spazio astrale:
sembra in
croce con
il mantello
che lo avvolge
come una sindone),
un popolo
che sa fare
del bene ma
che ha bisogno
di qualcuno
che gli indichi
la strada.
Il mondo ha
bisogno di
Superman?
è la
domanda che
serpeggia
lungo tutto
il film. A
proiezione
conclusa la
risposta è,
ancora di
più,
sì!
E’ sì,
nonostante
Lois Lane,
nell’articolo
che le ha
regalato il
Pulitzer,
dica no –
ma ha parlato
da amante
ferita e non
bisognerebbe
mai parlare
da amanti
ferite e lei
lo sa, adesso.
E’ sì,
nonostante
qualche lungaggine
di troppo,
qualche finale
e sottofinale
di troppo,
qualche svolazzo
di troppo.
E’ sì,
nonostante
avremmo voluto
un po’
di gloria
anche per
Clark Kent,
il vero eroe
di tutta la
faccenda,
lui che sa,
che potrebbe
dire e non
dice, che
potrebbe raccogliere
fama e onori
e invece si
sacrifica
ad una vita
di anonimato.
I suoi sguardi
alla volta
di lei, così
come quelli
della madre
alla volta
di lui, parlano
come nessuna
parola saprebbe
fare. Ed è
sì
perché
Superman è
il simbolo
di quell’America
buona che
da qualche
parte, magari
solo in un
ideale - esiste,
che esisterebbe
se la teoria
avesse qualcosa
a che vedere
con la pratica,
se la realtà
non corrompesse
di volta in
volta ciò
che è
puro per convenienze
particolari.
Ecco perchè
il mondo ha
bisogno di
Superman.
Perché
Superman è
un sogno,
di lealtà,
di coraggio,
di integrità.
Gli presta
anima e corpo
il semi-sconosciuto
Brandon Ruth,
perfetta incarnazione
del tipico
american boy
– fisico
possente,
mascella squadrata,
faccia da
bravo ragazzo,
espressione
un po’
da lesso e
un po’
no. Lo accompagnano
un cattivissimo-pelatissimo
Kevin Spacey/Lex
Luthor, Kate
Bosworth/Lois
Lane, e James
Marsden, già
Cyclope in
X-men che
come là
anche qua
finirà
buggerato.
Battuta già
di culto:
lui a lei:
hai amato
Superman?
lei a lui:
tutti hanno
amato Superman!
Anche per
questo la
doverosa e
sentita dedica
finale alla
memoria di
Christoper
Reeve.
(di Mirko
Nottoli
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recensione del
film "Superman
returns"! |
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