STEPPING DALLA STRADA AL PALCOSCENICO
 

recensione stepping

 
Se una cosa “Stepping” la insegna (ed è già tanto se ne insegna una) è che le dimensioni parallele esistono. Solo in una di queste infatti può esistere lo “stepping”, un presunto ballo praticato nei college americani dove due gruppi di invasati dai fisici scultorei si sfidano battendo i piedi e la mani a ritmo di rap. Questioni di neri a quanto pare, di ghetti, di gang, di slang, di street, di hip e di hop, di gente che “deve farcela”, che combatte, che urla, che digrigna i denti, che ti guarda truce, che corre a torso nudo su per una collina ed esulta in vetta alla luce del tramonto. Ma devono partire per la guerra? Devono combattere in una vasca di squali? Devono difenderci da mostri venuti dallo spazio? No, devono ballare. Ma è un ballo quello? Sembrano gli zombie di Romero morsicati da una tarantola… I lupi da una parte, i serpenti dall’altra,  
 
entrambi impegnati su chi fa il gesto più cretino: gli uni mettono la mani a “V”, gli altri alzano l’avambraccio e piegano la mano. Una sfida davvero avvincente. Intorno la solita retorica tipicamente americana del “migliore”, di quello cresciuto per strada che deve emergere, la solita storia d’amore tra l’outsider e la bella figueira della scuola, l’importanza della storia e delle tradizioni, del gruppo e dell’amicizia.  
Quando alla fine una frase di Martin L. King celebra l’educazione ricevuta quale momento fondante nella vita di un uomo si ha la sensazione concreta che qualcuno ci stia prendendo in giro, uno perché non c’entra niente con il film, due perché dopo un film così la voglia di bestemmiare verrebbe anche ad un monaco tibetano, altro che educazione! Lascia sempre interdetti constatare il divario totalmente ingiustificato che in tanto cinema americano si crea tra la cosa e la sua rappresentazione, lo scollamento e il conseguente senso di straniamento tra una cosa normalissima come può esserlo il ballo e l’enfasi, il rumore, l’esasperazione con cui viene descritta, in nome del più becero concetto di spettacolarizzazione. La regia, videoclippara all’ennesima potenza, riesce nel notevole intento di non mostrare un passo di danza che sia uno, che se c’è un motivo per andare a vedere “Stepping” è proprio quello, e invece niente, solo mezzi movimenti frammentati e caotici tali da causare voltastomaco da mal di mare. Anche ai più accaniti amanti del ballo lo diciamo: consigliato solo a chi vuole farsi davvero del male.

(recensione di Mirko Nottoli )


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