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Dieci anni di attesa (il film č stato concepito alla fine degli anni 90), un regista di talento come Vincenzo Natali (Cube-Il Cubo), un produttore esecutivo stimato e visionario come Guillermo del Toro e il premio Oscar Adrien Brody: gli ingredienti ci sarebbero tutti per un thriller da elettrochoc che perņ non ha convinto il pubblico americano e che rischia di affogare anche in Italia nelle stesse acque tanto agitate quanto presumibili. Splice, ovvero combinazioni genetiche, quelle che due scienziati studiano segretamente nei loro laboratori per dare vita a un essere sovrannaturale. Mischiano DNA umano con quello animale, originano mostruose creature fino a ottenere un misterioso organismo che invecchia precocemente e assume le sembianze di una chimera umana estremamente minacciosa anche per i |
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due giovani Frankestein in erba che l'hanno creata: come se l'uomo volesse sostituirsi a Dio, pagandone poi le conseguenze. Dren, così viene soprannominata, è un ibrido inquietante, metà donna e metà bestia, angosciante e seducente, dolce e vendicativa. Invecchiando, incattivendosi, le sue costole si spaccheranno per far spuntare le ali, appuntite come quelle di un drago e allo stesso tempo leggiadre come
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quelle di un angelo, un mix tra umano, effetti speciali e protesi magistralmente personificato dall'attrice francese Delphine Chanéac che interpreta Dren senza mai pronunciare una sola battuta. Qualcosa di transgenico che rispecchia l'intera essenza della pellicola, un esperimento da laboratorio frutto di una fusione che decisamente sfugge di mano. All'inizio inquieta, come Dren da bambina, le inquadrature in soggettiva sprigionano pathos e agitazione ma poi la sceneggiatura assume dei risvolti un po' troppo oltre le righe e cade in una fantascienza quasi grottesca, suscitando addirittura accidentali risate di scherno in sala. Ciò che resta è qualcosa a metà, indefinibile, una miracolosa scoperta che diventa un dannosissimo errore, sia biologico che di valutazione per un trailer montato perfettamente. Horror e thriller allo stesso tempo, dramma umano e incestuoso che sfocia nel triangolo amoroso. Le motivazioni che stanno alla base di curiosità scientifiche si fondono, all'interno della stessa provetta, a ragioni strettamente personali che conducono la protagonista a comportarsi come una madre e Clive - lo scienziato - come un amante, e allora viene da chiedersi chi sia davvero il mostro, se la bestia che uccide perché senza coscienza o chi pretende di comandarla per soddisfare un desiderio represso di maternità. Perfetto il gioco di luci e ombre della fotografia di Tetsuo Nagata, che rende l'idea di come un grigio laboratorio con armadietti arrugginiti possa alternarsi al calore di un fienile in cui nascondere un mostro a cui si dice di volere bene, prima che compia il fattaccio, momento in cui torna di nuovo il buio tagliente. Efficace anche l'uso della macchina da presa con la quale lo spettatore si confonde per ottenere la sensazione di essere all'interno dell'incubatrice, venendo poi sedotto, violentato, punto, assassinato come accade per i personaggi; al regista inoltre, va il grande merito di aver fatto affidamento al caro vecchio make up, ottenendo risultati scioccanti senza l'utilizzo di troppi effetti speciali. Un pacchetto ben confezionato insomma ma che, a causa della sceneggiatura che affida l'ingegneria genetica a due nerd (Dren, letto al contrario, guarda caso diventa proprio "nerd") e si ubriaca poi di trovate improbabili, quando lo si scarta non si può far altro che rimanere delusi. Peccato perché tutto sommato Adrien Brody non è affatto male nella parte dell'uomo di scienza che ascolta i Led Zeppelin, col camice bianco pieno di pins e dalle t-shirt una più alternativa dell'altra.
(di Andrea Dispenza )
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