SPEED RACER
 

recensione: speed racer

 
Dopo “Matrix” è stato tutto un proliferare di uomini volanti, pallottole che procedevano a rallentatore e telecamere che giravano loro intorno a 360 gradi. Ci riprovano a spostare di qualche passo in avanti l’utilizzo della grafica computerizzata su grande schermo gli integerrimi fratelli Wachowsky in questo “Speed Racer”, film tratto da una nota serie di cartoni animati giapponese che qualcuno tra i trentenni d’oggi forse ricorderà sepolto nella sua infanzia (si chiamava allora“Go Go Match 5”, Ah! quanto tempo è passato…). Un qualcosa di “mai visto prima”, il primo film a due dimensioni e mezzo (?), ripreso con speciali obiettivi ad angolo giro (???) per mischiare attori in carne ed ossa e sfondi interamente creati al computer. Prodotto da quel vecchio volpone di Joel Silver “Speed Racer” è puro post-modern! C’è piazza  
 
del Campo a Siena, lo Stelvio e la Porta di Brandeburgo a Berlino, tutto fittizio ovviamente. E c’è Emile Hirsch, Christina Ricci, John Goodman e Susan Sarandon, ovviamente tutti veri (attenzione però perché su tutti svetta lo scimpanzè, che è vero ma può sembrare finto. C’è anche il povero Moritz Bleibtreu arrivato dalla Germania per farsi vedere mezzo secondo). Tono leggero-comico-demenziale e morale   recensione speed racer
all’insegna della lealtà sportiva contaminata da troppi interessi economici, talmente attuale che ci si aspetta solo che da un momento all’altro esca Luciano Moggi. Fedeli allo spirito delle serie a cartoni animati in cui tutto si può basta immaginarlo, le auto sfrecciano, carambolano, scivolano come saponette sul ghiaccio, saltano, volano, si prendono a sportellate in uno strano cocktail tra la formula 1, le montagna russe e gli auto-scontri. L’ibridazione tra film è cartoon ha origini ormai antiche. Qui giunti si può dire che sia praticamente completa e completata, intendendo con ciò una completezza che alla tecnica ha aggiunto anche l’estetica e la poetica. Ma chi di ibridazione ferisce di ibridazione perisce. Il risultato infatti è una specie di coitus interruptus, un viaggio psichedelico che coinvolge la vista e non la mente in cui si viene lanciati e sballottati come una pallina in un flipper, tra luci fluorescenti, colori sfavillanti e collisioni vorticose, senza che tuttavia venga mai meno la placida sensazione di stare ben saldamente seduti in poltrona. Quello che si guadagna in ritmo e invenzioni visive si perde in leggibilità dell’azione e conseguente scemare della tensione drammatica. Lasciamo a voi decidere da che parte penda la bilancia. Noi preferiamo comunque Saetta McQueen.



(recensione di Mirko Nottoli )


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