SOMEWHERE
 
locandina Somewhere

recensione Somewhere

 
Dura la vita dell'attore! Tra una prova per il trucco, una conferenza stampa e un servizio fotografico. Stephen Dorff alias Johnny Marco è una star di Hollywood, vive in un residence dimesso e decadente che sembra un ostello frequentato da bagasce e ubriaconi, porta camicie a quadri da taglialegna canadese, se ne sta tutto solo in piscina come Joe Dallesandro in Heat. Per svagarsi gioca a Guitar Hero con la figlia undicenne o affitta due bionde sgallettate che gli ballano la lap dance in camera portandosi il palo pieghevole da casa. Scopa come un riccio ma talvolta si addormenta sul più bello. Se gli va bene lo invitano in Italia a partecipare alla notte dei telegatti con la Marini e la Ventura, e lì allora sì che se qualcuno ha tendenze suicide rischia grosso. Nei momenti più bui prende la sua Ferrari nera e comincia a girare in tondo, nel  
 
deserto. Gira, gira e rigira, senza andare da nessuna parte. La metafora della vacuità di una vita dedicata all'effimero. Ma anche la metafora vacua di un film vacuo che dice poco e dice male. Sofia Coppola tenta di ripetere la magia di Lost in Translation pensando forse che bastasse applicare alla lettera una ricetta ma non è così che funziona. Lunghi silenzi, lunghe sequenze, frasi non dette e tempi dilatati a   recensione Somewhere
simboleggiare l'incomunicabilità, il vuoto esistenziale, la sostanziale inutilità del tutto. Somewhere sembra il compitino intellettualoide fatto da chi non sa cosa scrivere e prova a sfangarla sbirciando sul foglio del compagno di banco. Il fatto è che in Lost in Translation i vuoti erano pieni, pienissimi, e i silenzi comunicavano come nessuna parola saprebbe fare. In Somewhere invece i vuoti rimangono vuoti e i silenzi rimangono silenzi, non alludono, non sottintendono, non comunicano altro che la sostanziale mancanza di idee. Non è facile da spiegare ma è il motivo per cui applicare alla lettera una ricetta non basta. Questione di ispirazione, quella che la figlia di Coppola stavolta, dopo tre (quasi) capolavori ha smarrito, somewhere. Può succedere, non c'è da allarmarsi. Quello che a noi dovrebbe allarmare invece è l'immagine che il mondo avrà della televisione italiana e quindi, di riflesso, della nostra società, con Simona Ventura che sembra una maschera di carnevale e la Marini che zompa sul palco sgraziata e fuori tempo davanti ad un allibito Stephen Dorff (a proposito, chi temeva di scoprire che Stephen Dorff, in realtà, fosse bravo può tirare un sospiro di sollievo). Che infatti nell'inquadratura successiva se la dà a gambe. La Marini almeno se ne sarà resa conto? Scommettiamo di no.

(di Mirko Nottoli)


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