SMS - SOTTO MENTITE SPOGLIE
 

recensione Sms

 
Tommaso, impegnato nella guida, sbaglia a mandare un focoso SMS. A riceverlo, invece della moglie, è la compagna del suo migliore amico. L’equivoco è servito. Trama, titolo, locandina: tutto concorre a creare la sensazione del già visto, dell’ ennesima commediuccia facilona e un po’ corriva. Il film è la sintesi di premonizioni puntualmente confermate. Ma non è tanto la debolezza del suo impianto a lasciare sgomenti, quanto l’accoglienza spettatoriale riscontrata in sala. Il successo al botteghino di Salemme è infatti segnale significativo, se non monito inquetante. “Sotto mentite spoglie” non è una commedia che, in quanto attingendo da una tradizione popolare (o populista), riscuote successo perché capace di veicolare familiari, seppur futili messaggi al grande pubblico. Ma è un lavoro sottotono,  
 
sbagliato, fragile in ogni suo aspetto. Nel film di Salemme non si ride. La sua idea di comico è un calco informe: ironia scipita circa l’accento di inservienti filippini, figli adolescenti in crisi esistenziale che bofonchiano uno slang risibile, uno stillicidio di gag svogliate e senza brio. Il cast acuisce l’insofferenza durante la visione: turisti della recitazione travestiti da attori, il miraggio della dizione umiliato da un chiassoso carnevale  
di dialetti e cadenze. Tutto è concesso, anche se in nome dell’intrattenimento e della “spensieratezza” il cinema diventa un retrobottega in cui si accumulano clichè apparentemente imprescindibili della comicità nostrana. Sempre che, ovviamente, di comicità si stia ancora parlando. In Italia far ridere sembra essere diventata impresa ardua. Battuta facile, doppisensi sessuali e, in generale, un repertorio scatologico debordante, vengono eletti sistematicamente elementi di riferimento. Al pubblico sembra bastare, affetto com’è da un incurante strabismo, o, meglio, da un’accomodante e indolente poilitica del consenso. Ma la commedia all’italiana è morta tempo fa, tramontata come la società di cui era il corrispettivo cinematografico. La commedia italiana, ahi noi, ristagna in un vuoto doloroso.

(recensione di Lorenzo Donghi )


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