SLIPSTREAM - NELLA MENTE OSCURA DI H
 

recensione il treno per darjeeling

 
Sembra di assistere a un equilibrista, appesantito dagli anni e dalle traversie della vita, che sospeso su un filo troppo sottile arranca, procede impacciato, rischia il crollo. Hopkins è l’equilibrista, le traversie della vita sono i film (molti, troppi) in cui l’attore si è perso, svenduto, invecchiato. Così è difficile riuscire a credere e commossi immergersi in questa sua sorta di carnevale allegoria sul/del cinema, sul/del costruire film, personaggi, storie. Le pretese sono immani e troppo presto finiscono per ricadere fragorosamente e frantumare il castello cangiante e multiforme (ma di carta velina) che ci si è costruiti. Troppo soverchianti i precedenti, nella letteratura come nel cinema. Il dramma pirandelliano dei “Sei personaggi in cerca d’autore”, raffinata e già moderna parabola sulle malinconie del generare
 
 
arte. I mostri attorcigliati alle intuizione dello scrivere messi in scena da Cronenberg ne “Il pasto nudo”. Gli affascinanti e labirintici ragionamenti di Lynch (qui si cita addirittura il misterioso “uomo con la macchina da presa” di “Strade perdute”), da “Mulholland Drive” all’ultimo “Inland Empire”. Che, pur nella sua non catalogabilità, si faceva metafora-viaggio nei paradossi del fare cinema, muovendosi, qui sì  
con una maestria e una visionarietà davvero inarrivabili, sempre più rapidamente da un confine all’altro (realtà, arte, sogno, desiderio). Hopkins, invece, s’impiastriccia in un flusso ininterrotto di immagini, stili, stilemi, suggestioni citazioniste che, se pur inizialmente esercitano fascino (le sequenze oniricheggianti in bianco e nero sono riuscite), alla lunga stancano. Finendo così per risuonare per lo più pretenziose, (semi)intellettualoidi, scollate. Totò-Iago, in “Che cosa sono le nuvole”, spiegava così, a un Davoli-Otello spaesato, il segreto dell’arte (il cinema), e poi della vita: «Siamo un sogno, dentro un sogno». Non è necessario scoperchiare Hollywood, basta lo sguardo commosso e malinconico di un burattino in un teatro di periferia. O forse basta essere Pasolini.



(recensione di Mattia Mariotti )


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