SILENT HILL
 

silent hill recensione

 
Il francese Christophe Gans, ex critico cinematografico, è noto per la sua molteplice attività. Nel 1982 ha fondato la rivista “Starfix” in cui ha difeso il lavoro di tanti registi specializzati in horror (solitamente vituperati dalla critica), ha realizzato un cortometraggio (“Silver Slime”) che omaggia Mario Bava, ha poi diretto due film che sono stati premiati dal pubblico (“Crying Freeman” 1995, “Il patto dei lupi” 2001). Questo suo nuovo lungometraggio conferma la passione per la fantascienza, la ghost story, gli slasher film… e probabilmente piacerà ai più accaniti cultori del genere. Tratto dal videogame del 1999 della giapponese Konami, “Silent Hill” utilizza ogni mezzo possibile per concretizzare quanto il regista ha dichiarato in una recente intervista: “Voglio immergere gli spettatori nella paura”. Ma è proprio questo il suo limite. “Di tutto e di più"  
 
sembra essere lo slogan di questo lavoro, complicato e non sempre comprensibile nello svolgersi dei fatti, ridicolo e improbabile nel comportamento dei protagonisti, caratterizzato da scene troppo lunghe e ripetitive (e dire che il film sullo schermo dura “solo” 127 minuti invece delle 3 ore e mezza originali!). Compare il difetto già riscontrato in tanta produzione hollywoodiana degli ultimi tempi: non c’è attesa  
o gradualità nell’offrire emozioni forti. Lo spettatore va colpito immediatamente dalla prima immagine, la sua attenzione va catturata subito (paura che cambi canale quando il film finirà in televisione?). In questo modo la tensione, la suspense perdono efficacia: due ore di continue sequenze da brivido hanno solo l’effetto di produrre assuefazione e stanchezza. Incredibile gran pastrocchio con dialoghi a volte risibili, assurdo e strampalato, dal sensazionalismo visivo ed emotivo spesso gratuito e sempre sgradevole, il film (la cui sceneggiatura, incredibile a dirsi, è di Roger Avary, autore di “Pulp Fiction”) conferma la verità di quanto ebbe a scrivere tempo fa Lietta Tornabuoni su “La Stampa” parlando di “film-contenitore” come nuovo tipo di cinema popolare: “alla maniera degli show televisivi o di certi fumetti, frammentato, frantumato, spezzettato, sussultorio, episodico, che avendo al centro un tema, un personaggio o un luogo anziché una storia, accumula fatti, immagini, apparizioni confusi e insensati”. Altro punto dolente, la recitazione. Di Radha Mitchell si può solo dire che ha la fortuna di avere il look oggi imperante: gracile, esile, bionda, magrissima… ma è assolutamente monocorde e incapace di trasmettere qualsiasi sensazione. La piccola Jodelle Ferland è inespressiva e tutt’altro che accattivante. Alice Krige, notevole attrice di teatro, in questa occasione sembra fare la parodia della “cattiva”. Laure Holden (lanciatissima nuova star), qui nel ruolo della poliziotta, per buona parte del film sembra appena uscita dalle copertine di Vogue e si muove come se fosse sempre in passerella (poi preferisce fare la caricatura di Gary Cooper di “Mezzogiorni di fuoco”). Si salva l’ottimo Sean Bean, ma la sua parte è talmente insignificante che non fa testo. Nello sfacelo generale, “Silent Hill” mostra comunque la perizia tecnica del regista: notevoli le inquadrature e i movimenti della macchina, suggestiva ed inquietante l‘ambientazione, efficace e ben utilizzata la colonna sonora di Akira Yamaoka (lo stesso che ha contribuito, con il suo inconfondibile sound, al successo della quadrilogia videoludica).


(di Leo Pellegrini )

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