SIGNORINA EFFE
 

recensione signorina effe

 
L’algida Emma, d’origine meridionale trapiantata a Torino, è l’orgoglio della famiglia Martano, impiegata alla Fiat e prossima alla Laurea in matematica, ha una relazione con l’ingegnere dell’azienda e tutto nella sua vita sembra andare a gonfie vele, la sua scalata sociale è quasi conclusa. Sergio è un operaio. I due si incontrano-scontrano durante il periodo della grande crisi della Fiat negli anni ’80. Un film lento e sofferto, dai dialoghi forzati e asciutti. Valeria Solarino non è per niente credibile nei panni di una donna che perde la testa per un uomo diverso dal suo ambiente, non si capisce come ha inizio e fine questa travagliata storia d’amore (se di amore si può parlare). Lei, bellissima, a volte ha un espressione smarrita e ci si chiede se sia caratteristica del personaggio che interpreta, un’esteriorizzazione dei suoi  
 
tumulti interiori o un effetto della scarsa sceneggiatura. Filippo Timi riesce a rendere l’idea dell’operaio idealista, ma anche lui è intrappolato dalla scarsa qualità dei dialoghi e dalla mancata risolutezza della trama. L’intera vicenda dello sciopero è ovviamente mostrata attraverso dei filmati dell’epoca, quasi trenta minuti di inserti documentaristici già visti da tutte le parti. Alcune vicende del film sono scollegate e non  
c’è una cura efficientemente psicologica del personaggio. La Solarino ha lo stesso sguardo dall’ inizio alla fine del film, quando da semi-snob ha una piccola tresca con l’operaio, cambia solo gli abiti e il modo di parlare, lei rimane fredda e distante. I personaggi secondari sono anch’essi poco curati e fanno o dicono cose che non hanno ripercussioni nel futuro. Le solite canzoni di Patti Smith accompagnano le solite immagini di masse di scioperanti e il cielo di Torino non è mai stato cosi grigio. Eppure l’idea di partenza non è cosi banale. Ciò che successe in quei giorni in Italia, l’annunciato licenziamento di quindicimila operai e lo sciopero di 35 giorni che ne conseguì è un episodio storico che ha profondamente ferito il belpaese. E dell’operaio in quanto lavoratore si parla sempre meno nel cinema nostrano. Ma pensare che un viso altero come quello della Solarino possa descrivere il desiderio di ascesa sociale e allo stesso tempo la solidarietà nei confronti di un suo simile (che di solidarietà si può parlare non certo di amore), è pretendere troppo. Un film che insegna che: lo scioperante è buono e il crumiro è cattivo e che i padroni-capitalisti vincono e gli operai-schiavi soccombono. Alla fine viene solo voglia di vedersi o meglio finire di vedere il documentario della Comencini ”In Fabbrica” e dimenticarsi della non storia d’amore tra Emma e Sergio.

(recensione di Moira Chiani )

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