SHOOTER
 

shooter recensione

 
La risata, nel cinema, ha sempre un suo perché. Di fronte a un film d'azione, o a un thriller politico, è generalmente giustificata da un più o meno sottile intento ironico, oppure, nel peggiore dei casi, da un involontario effetto comico. Uno dei -molti- problemi di Shooter è che non sempre si capisce dove cominci uno e finisca l'altro. È evidente che alcuni scambi di battute hanno una volontà parodistica -e sarebbe preoccupante se così non fosse-, ma sono più le volte in cui si sfora nella retorica più becera e in un patriottismo dal gusto dozzinale. Da cui quell'involontario effetto comico a cui accennavo. La vicenda, dal canto suo, non pecca certo di originalità: Mark Walhberg interpreta un ex-cecchino del corpo dei marines che, come ogni buon manuale di sceneggiatura insegna, in seguito a un incidente si è ritirato in  
 
sperduta e innevata località montana, dove vive in una casa provvista di tutti i comfort possibili, con un cane addestrato e un discreto bagaglio di sensi di colpa e frustrazioni a fargli compagnia. Fatte le necessarie premesse e presentazioni, si sviluppa una classica vicenda in cui il più forte incastra il più debole in un sordido gioco di potere e corruzione, ove il fattore sottovalutato è -sorpresa!- proprio quella pedina apparente-  
mente debole. C'è spazio per un momento romantico e per una morale raffazzonata? Sì, c'è. Ma il grosso problema di Shooter, tanto più enorme in quanto si tratta di un thriller, un genere che per definizione dovrebbe tenere lo spettatore incollato alla poltrona, con gli occhi fissi a seguire lo svolgersi degli eventi, è che non riesce ad appassionare né a coinvolgere, complice anche una manciata di personaggi eccessivamente stilizzati, che proprio non riescono a uscire dalla loro bidimensionalità, o a creare un'effettiva e credibile rete di relazioni interpersonali. Rimane dunque parzialmente avvolto nel mistero il motivo per cui detti personaggi si comportino in un determinato modo piuttosto che in un altro, o per quale meccanismo prendano vita e si sviluppino i profondi legami che si instaurano tra di loro. E non si può certo dire che la sceneggiatura aiuti a chiarire le innumerevoli zone d'ombra. Ultimamente, poi, c'è la moda del finale multiplo, espediente interessante, se sostenuto da una solida sceneggiatura. Qui si vedono solo teste che esplodono, auto in fiamme, inseguimenti, pistole, fucili ed elicotteri. I buchi nella sceneggiatura non si contano, ma i finali sì: ce ne sono tre, ed è davvero difficile decidere quale sia il meno riuscito. Si salva in parte Mark Wahlberg, qui meno intenso che altrove, ma con dei bicipiti a cui non avevamo fatto caso.

(recensione di Barbara Monti )

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