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Arriva nelle sale
l’arrabattato
lungometraggio del
tedesco Berengar Pfahl:
Shanghai Baby. Mai
titolo fu più
calzante. L’opera,
girata completamente
in digitale ed anche
per questo patinata
e formalmente scadente,
è imbevuta
di un manierismo chiccettone,
di una filosofia neo-bohemiénne
che si copre di ridicolo
in un crescendo di
clichè e forzature
stralunate. La scelta
del soprannome della
protagonista (Coco,
in onore della Chanel)
è portatrice
malsana di quella
vena, quasi un’arteria,
kitsch che lo attraversa
con impeto. Una ragazza
cinese, ribelle e
curiosamente artistica,
vive due amori contemporaneamente,
uno forzatamente casto
e totalizzante (orientale),
l’altro carnale
e libertinamente adultero
(occidentale). Fa
da sfondo, sin troppo
colorato e luccicante,
una Shanghai che ci
viene |
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restituita
spoglia
della
sua
genuinità
(a noi)
esotica,
ma standardizzata
a forza
nell’ottica
che
l’occidente
vuole
averne:
una
mera
contraffazione
di una
metropoli
statunitense,
quasi
un implicito
inno
alla
superiorità
occidentale,
così
come
lo è
l’infausto
confronto
tra
l’impotente
Tian
Tian
ed il
prestante
Mark.
E proprio
qui
sta
il,
maggiore
e non
unico,
difetto
del
film:
le situazioni
amorose,
la vita
cittadina,
le |
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barriere culturali,
la chimera
dell’occidente
ci vengono
filtrati dall’occhio
europeo ed
eurpoeista
del regista
tedesco, depauperando
l’insieme
di quella
carica emotiva
ed immaginifica
che una prospettiva
‘locale’
avrebbe donato
all’opera.
La forzatura
nel banalizzare
ogni singolo
elemento (luci,
sentimenti,
paure, passioni)
rendono le
scene mal
strutturate
e slegate
tra loro,
risucchiate
in una barocca
esteticità
poco metabolizzabile.
Il continuo
ed insopportabile
riferimento
all’importanza
del rapporto
con la città
per la protagonista
non trova
alcun feedback
nelle scelte
registiche.
Coco ama la
città,
ma il regista
non abbastanza,
e la usa esclusivamente
come mero
strumento
didattico
per propinarci,
come se un
mese di Olimpiadi
non ci abbia
già
saturato a
sufficienza,
l’emancipazione
delle generazioni
della New
China. Tra
i miseri punti
a favore di
Shanghai Baby
va certamente
menzionata
la carica,
attoriale
ed erotica,
della brava
Bai Ling.
Caratterizza
le scene ed
attira l’attenzione
così
come la parte
richiede,
ha stile da
vendere e
non si tira
indietro quando
la storia
latita giocandosi
la carta di
un recitato
sopra le righe
e sensorialmente
sovraccarico.
Le interpretazioni
collaterali,
scialbe e
senza personalità,
sono in completa
simbiosi con
l’animus
dell’opera.
Un’opera
davvero irraccomandabile,
che spinge
addirittura
ad interrogarsi
sul motivo
di una distribuzione
nelle nostre
sale. Il fatto
che sia stato
terminato
nel 2007 e
che esca solo
ora, per sfruttare
l’onda
lunga del
fenomeno Pechino
2008 e tutto
ciò
che ha generato,
è un
indizio di
cui nemmeno
il più
inetto dei
detective
avrebbe potuto
ignorare l’entità.
(di Tommaso
Ranchino
)
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recensione del
film "shanghai
baby"! |
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