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Dio ha creato il mondo in sette giorni. Ben Thomas in soli sette secondi ha distrutto il suo. Comincia così "Sette anime", l'ultimo film diretto da Gabriele Muccino, il secondo d'esportazione americana a due anni di distanza da "La ricerca della felicità". Dove ritrova ancora il suo benefattore e protagonista Will Smith, ormai nuovo re Mida del cinema d'oltreoceano. Un uomo ambiguo, il personaggio da lui interpretato, in cerca di redenzione dal peccato commesso. Una lista di persone che nulla hanno a che fare le une con le altre. E un numero, il sette, che traccia una linea sottile lungo tutta la pellicola, avvolge i personaggi, li aggroviglia, per poi sciogliere ogni nodo alla fine. Il titolo originale, "Seven Pounds", è come al solito più evocativo della sua banale traduzione italiana: sette libbre, letteralmente, ovvero il 'peso' che si |
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dica abbia l'anima di un uomo; sette le persone che lui ha deciso di salvare per espiare i suoi sensi di colpa. Questa volta il regista italiano abbandona l'american dream per raccontare una storia ricca di spunti, un po' mistica, un po' catartica, che vorrebbe trovare il suo fulcro centrale in quell'amore altruista talmente impensabile e impensato - al giorno d'oggi soprattutto - da apparire folle. Il condizionale |
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è d'obbligo, perché la missione di quest'uomo rimane indecifrabile allo spettatore per tre quarti di film, al punto da non veder sviluppate appieno le potenzialità insite in una storia del genere. Perché tralasciando la simbologia legata al numero sette - la perfezione del Creato, i giorni della settimana, la pienezza e completezza di Dio etc. - "Sette Anime" è soprattutto una grande storia d'amore: quella verso il prossimo, certo, ma in particolare sul Vero Amore. Quello che arriva e sconvolge i piani, che nel film ha il volto bellissimo, intenso e sofferente di Rosario Dawson. La cifra stilistica di Muccino è riconoscibile, più che nel precedente "La ricerca della felicità", in particolare nel tratteggiare le nevrosi dei suoi personaggi, e con l'avvicinarsi all'epilogo del film. Dunque sorge spontaneo il sospetto che il problema di fondo - ovvero la sopracitata indecifrabilità di quanto narrato per un'abbondante ora e mezzo - sia una sceneggiatura mal scritta. Peccato: perché coinvolge, ma non sconvolge dove avrebbe potuto.
(di Giulia
Mazza )
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