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Dopo le scritte pasticciate
sui muri all’altezza
di tre metri sopra
il cielo, dopo i grappoli
di serrature che mettono
a repentaglio la saldezza
dei lampioni di Ponte
Milvio, è la
volta del trentasettenne
Alex sedotto, con
insolita innocenza
del peccato, dalla
lolita Niki. In primo
piano, i più
o meno burrascosi
legami sentimentali
fra amanti, amici
e genitori; sullo
sfondo, una consuetudinaria
Roma da cartolina.
In questo spaccato
postmoderno d’educazione
sentimentale, tanto
la cronaca della meglio
gioventù italiana
del XXI secolo stenta
ad essere plausibile,
quanto i protagonisti
cedono alla tentazione
di abbandonarsi al
puro macchiettismo
stereotipato. Nel
frattempo, la trilogia
mocciana si arricchisce
così di un
nuovo capitolo. Tratto
dall’omonimo
bestseller pubblicato
nel 2007, “Scusa
ma ti chia- |
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mo amore”
non
faticherà
molto
a conquistare
una
nicchia
nell’immaginario
collettivo
di un
pubblico
femminile
under
venti.
Del
resto,
ogni
generazione
ha i
suoi
miti
ed eroi
e, se
solo
l’anno
scorso,
il modello
di riferimento
era
l’indocile
Scamarcio
ora
si predilige
un adulto
più
rassicurante,
chissà…
magari
con
le fattezze
di Raoul
Bova.
Ma tolta
l’evanescente
confezione,
cosa
ne resta
dell’opera?
Un prodotto
medio,
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anzi per certi
aspetti sotto
la media,
ligio ai canoni
della fiction
televisiva
piuttosto
che ai dettami
dello schermo
cinematografico.
Sorprende
come la sceneggiatura,
opera peraltro
dello stesso
Federico Moccia
insieme a
Chiara Barbini
e Luca Infascelli,
sia stata
riarrangiata
in modo inaccetabilmente
superficiale
e dozzinale.
Qualsiasi
speranza di
rinvenire
(almeno) un
tocco d’effervescenza
e freschezza
nella trama
soccombe all’ineluttabile
presa di coscienza
di trovarsi
faccia a faccia
col solito
dejà
vù
o, ed è
lo stesso,
con la proverbiale
minestra riscaldata.
Gli stessi
espedienti
stilistici
- che puntellano
il testo filmico-
risultano
essere all’occhio
dello spettatore
fin troppo
banali; vedasi
a tal senso
lo snocciolamento
di citazioni
sull’amore,
tratte da
autori letterari
della stregua
di William
Shakespeare
o di Pablo
Neruda. Se
l’intento
era quello
di assurgere
ad un ritmo
pop, l’esito
finale è
invece degno
della logica
“mordi
e fuggi”
tipica dei
versi dei
cioccolatini.
Provaci ancora
Moccia!
(recensione
di Cristina
Caponi )
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film "Scusa
ma ti chiamo
amore"! |
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