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Vi sono registi che
sanno porgere uno
sguardo distaccato
ma lucido a fatti
di cronaca drammatici
realmente accaduti
e riuscire a fare
film che riescono
non solo a raccontare
il fatto in se, ma
anche a colpire dritto
nel segno, annichilendo
e nello stesso tempo
destando interesse
ed emozione nello
spettatore. In questa
categoria, senza dubbio,
rientra Tom Kalin,
giovane regista canadese,
che, già alla
ribalta delle critiche
con il film Swoon
(con cui ha meritato
premi e successi),
ritorna sul grande
schermo con “Savage
Grace” sempre,
come in “Swoon”,
con una storia ambigua
e inquietante, costruita
sulle personalità
dei soggetti coinvolti.
Barbara Daly (Julienne
Moore), giovane ed
avvenente donna di
bassa estrazione sociale
sposa Brooks Baekeland
(Stephen Dillane),
rampollo di famiglia,
figlio di Leo Baekeland,
inventore della |
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bakelite.
La coppia
ha un
figlio
Tony
(Eddie
Redmayne),
sfortunato
nel
far
parte
di una
famiglia
senza
veri
progetti
di vita,
con
una
facciata
apparentemente
solida
e perfetta,
nel
lusso
più
sfrenato,
dietro
al quale
però
aleggiano
sinistri
sentimenti
di distruzione
e di
odio,
di esaltazione
delle
proprie
miserie,
in un
vuoto
di valori
che
alla
fine
porterà
ad un
funesto
ed irreparabile
collasso.
La costruzione
della
narrazio- |
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ne si articola
praticamente
in capitoli
che scandiscono
spazi e tempi
della vita
della famiglia
Baekeland,
in un viaggiare
tra New York,
Parigi, Maiorca,
Cadaquès
e Londra.
Come sfogliare
pagine pesanti
di un grande
album fotografico
da cui emergono
i personaggi
cristallizzati
nel loro mondo,
ripresi dall’obiettivo
in momenti
salienti ed
esplicativi
della loro
vita, così
Kalin costruisce
la parte malata
di questa
struttura
familiare
(la voce narrante
di Tony ne
enfatizza
le colpe e
le vigliaccherie)
che con tenacia
si regge sulla
volontà
dei contendenti
principali,
Barbara e
Brooks, l’una
che assoggetta
in un rapporto
incestuoso,
prima mentale
e poi fisico,
il figlio
Tony, l’altro,
che braccato
nelle sue
miserie di
uomo fallito
e pusillanime,
abbandona
moglie e figlio
al loro disgraziato
destino. La
trama, che
sembra non
avere collante
nelle parti
con un tutto
omogeneo,
è invece
sapientemente
costruita
per scandire
momenti significativi
e scottanti,
che spiegano,
alla fine,
quella sottile
e nebulosa
linea di una
follia esistenziale
che ha ingurgitato
passo dopo
passo, giorno
dopo giorno,
anno dopo
anno, le menti
di poveri
sognatori
di mondi dorati,
disperati
e infelici,
sepolti e
soffocati
dal loro stesso
danaro e dalla
sola voglia
di mondanità.
Kalin racconta
una storia
amara, squallida
e grottesca,
con un’eleganza
ed una raffinatezza
encomiabili.
A tratti,
scene costruite
ad arte da
luci soffuse
e soporose,
richiamano
a quadri cinquecenteschi,
con immagini
catturate,
immobilizzate
da una mdp
che media,
con un linguaggio
muto, volti,
stasi di corpi,
in attesa
del nulla,
che respirano
sudore imbrattato
di vergogne
condivise
e legittimate,
stretti in
abbracci di
una (in)felicità
asserragliata
nel torpore
di una vita
che sprofonda
nel nulla
assoluto.
Chiaramente
il fulcro
del messaggio
è nel
giovane Tony
(che Kalin
presenta sin
dalla tenera
età
di lattante)
soggetto più
indifeso e
vulnerabile
della famiglia
Baekeland,
educato da
una madre
irrimediabilmente
centro del
mondo, intorno
alla quale
tutti hanno
un posto assegnato
per condividere
la sua esistenza
e la sua malata
felicità.
Il personaggio
di Barbara
acquista valenza
e carattere
grazie alla
recitazione
di Julienne
Moore. Come
Eddie Redmayne
incarna alla
perfezione
la personalità
violentata
da una tragica
e distruttiva
convivenza
familiare.
Il dramma
si delinea
sul filo pacato
ma avvincente
di una trama
che trasmette
tutto lo sgomento
di vite perse
nei vuoti
esistenziali.
La scenografia
di Victor
Molero supportata
dall’encomiabile
raffinatezza
nella scelta
attenta dei
costumi di
Gabriela Salaverri,
conferiscono
al film quella
nota accattivante
ed ottimale
di resa di
un’ambientazione
epocale perfetta.
La ricchezza,
il bel mondo,
spesso fanno
vivere di
luce riflessa,
che spegne
i sentimenti
e la vita
stessa, burlandosi
di storie
di donne e
di uomini
che senza
indugio spalancano
le porte al
dramma inevitabile.
Tom Kalin
racconta tutto
questo in
“Savage
Grace”,
tratto dal
libro di Natalie
Robin e Steven
M.L. Aronson,
purtroppo
scritto basandosi
su una storia
realmente
accaduta.
(di Rosalinda
Gaudiano
)
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grace"! |
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