SANGUEPAZZO
 
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recensione: sanguepazzo

 
Non tutti sanno che l’industria cinematografica italiana è nata sotto il fascismo. Vittorio Mussolini, fratello di Benito, era un grande appassionato di cinema americano. Nacque così il cinema dei telefoni bianchi, grazie al quale mossero i primi passi molti autori, registi e attori che divennero i protagonisti della storia del cinema italiano. Con Sanguepazzo, Marco Tullio Giordana fa rivivere gli anni d’oro del cinema di regime, attraverso la storia di Luisa Ferida (Monica Bellucci) e Osvaldo Contenti (Luca Zingaretti). Attori di talento, spesso relegati in ruoli da cattivi e antagonisti, Valenti e la Ferida furono compagni anche nella vita, spesso protagonisti di grandi eccessi: droga, promiscuità sessuale e ostilità per le convenzioni sociali e borghesi. Ma Sanguepazzo, come dice lo stesso Giordana, “non vuole ricostruire una  
 
storia vera. Si tratta di un’opera di fantasia ispirata a vicende e figure reali. Per questo mi sono potuto permettere di interpretare, sintetizzare, tagliare, eludere, aggiungere, inventare.” Con questa frase il regista esprime pienamente i difetti e i pregi del film. La ricostruzione del bel mondo dell’arte cinematografica di quegli anni è ben rappresentata. Le pressioni politiche, la dissolu-   recensione sanguepazzo
tezza di chi se lo poteva permettere, le contraddizioni della lotta partigiana. La lucidità con cui Giordana affronta la cornice storica è davvero pregevole. Purtroppo l’andamento del racconto è lacunoso e truffaldino. Valenti e la Ferida si consegnarono ai partigiani pochi giorni prima della liberazione e furono giustiziati il 30 aprile 1945. Il film fa rivivere la loro storia attraverso dei flashback, durante la prigionia, in attesa del processo, ma ogni fatto ogni azione non è comprovabile. Viene introdotto anche un personaggio del tutto immaginario, il regista Gualfiero Giuffrida (Alessio Boni) che sarebbe stato il pigmalione della Ferida. E’ evidente che Giordana volesse raccontare una sua storia che toccasse più da vicino i temi della guerra civile e della nascita della Repubblica di Salò. Purtroppo lo spunto dalla storia vera, però distrae dallo scopo. Se i personaggi sono esistiti, ci si aspetta di assistere ad un racconto romanzato, e non ad una sequenza di fatti, mai suffragati da una corretta documentazione (la lettera del ministro viene strappata, la giovane carceriera assassinata, l’amico ucciso). Inoltre il ritmo è a volte troppo lento e le scene di sesso, compreso il chiacchierato bacio saffico tra Monica Bellucci e la rivelazione Lavinia Longhi, non mantengono viva l’attenzione. Selezionato dal Festival di Cannes come “fuori concorso” il film non ha convinto nonostante il successo personale della Bellucci, per la prima volta sulla croisette con un film italiano.

(di Sara Sagrati )


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