SANCTUM 3D - RECENSIONE
 
locandina sanctum 3D
Locandina "Sanctum 3D"

sanctum 3D - recensione

 
Sgombriamo subito il campo da un fraintendimento: James Cameron, il cui nome campeggia su locandine e trailer non è il regista di Sanctum 3D, ma il produttore. La confusione deriva da una campagna pubblicitaria piuttosto aggressiva che punta tutto sul nome del papà di Avatar (ma in effetti anche di Piraña paura), visto che il Alister Grierson, alla regia di Sanctum 3D, è poco più che esordiente: al suo secondo lungometraggio dopo Kokoda (2006, mai uscito in Italia) piccolo film di guerra ambientato nel corso della Seconda Guerra Mondiale. La scelta dei pubblicitari è più che comprensibile: tolto il produttore, ci sono veramente pochi motivi di appeal nel prodotto. Forse si potrebbe citare l’attrazione di un 3D tecnicamente ineccepibile, cosa che però non è più una novità (per inciso: si potrebbe riflettere su quanto  
 
sia provinciale aggiungere la parola magica 3D accanto ai titoli originali dei film per attrarre il pubblico italiano). Sanctum 3D, storia di un gruppo di speleologi subacquei che si trovano a vivere un incubo dentro le profondità della grotta inesplorata più grande del mondo, è la tipica storia di sopravvivenza in situazioni estreme: buona forse per una serata o un pomeriggio domestico, ma con poche note di   recensione sanctum 3D
merito particolari e numerosi difetti. Potremmo definirlo un B-movie realizzato con un budget che ha poco a che fare con la serie B e condito di pretese moralistiche. John Garvin e Andrew Wight (quest'ultimo è un sommozzatore oltre che un film-maker), che hanno scritto soggetto e sceneggiatura, cercano di appellarsi all'emotività dello spettatore presentandoci l'ennesimo figlio (Rhys Wakefield, nel film Josh, che assomiglia in maniera singolare a Cameron Diaz) in conflitto con un padre (Richard Roxburgh, nel film Frank, un John Wayne in muta e bombola) del quale solo nella tragedia riesce a riconoscere il valore. Difficile restare impigliati in questa rete sentimentale, che chiama in causa un rapporto universale come quello tra padre e figlio, perché i personaggi sono essenzialmente piatti e piuttosto prevedibili, divisi con scrupolo manicheo tra buoni e cattivi. Non sono d'aiuto i dialoghi, al limite del grottesco, che cominciano con venti minuti di volgarità a raffica, tanto per chiarire che i protagonisti sono uomini duri, gli ultimi cowboy sulla terra. Ad un certo punto, nel bel mezzo di una delle scene più drammatiche del film, in sala è scoppiata una fragorosa risata subito dopo la battuta a effetto del protagonista. L'effetto probabilmente non era quello sperato. Il problema di questo film è che se volete vedere un film d'azione senza pretese sarete disturbati dalla petulante morale della favola, mentre se, attirati dalla garanzia di Cameron, vi aspettate un film che sia profondo quanto gli abissi della grotta affogherete in un mare di luoghi comuni.


(recensione di Maria Silvia Sanna)


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