ROSSO COME IL CIELO
 

rosso come il cielo recensione

 
Indubbiamente affascinante e complesso, questo Rosso come il cielo, di Cristiano Bortone, biopic realista e realistico sul direttore del suono Mirco Mencacci, attualmente uno dei migliori in Italia. Rischioso però mettere in un film una vicenda del genere, tanto avvezza a certo cinema americano, dal momento che è facile cadere nella fiction tv. Agli inizi del 1970, un bambino, Mirco Mencacci, si ferisce con un colpo di fucile e perde la vista. Costretto a frequentare le scuole per non vedenti, Mirco sviluppa la passione per il suono e nel tempo diventerà uno dei più grandi montatori del suono cinematografici italiani. La storia è semplice e diretta, anzi sembra allo stesso tempo uscita dalla penna di Dickens, nella minuzia con cui si scende in quelle che sono le turbe psicologiche infantili, i maltrattamenti e le classiche  
 
scene da interni bui. Mostrare in Italia un ritratto tanto pungente e diretto non è cosa facile, ma il regista riesce egregiamente a non scivolare mai nello stucchevole e nel patetico. Quindi più che un film questo è un documentario sociale, dal momento che, sottraendo tutto quello che è fictionabile , la austerità dell’operazione risulta talmente ingombrante da non lasciare spazio all’emozione. Tutto ciò è dettato dalla paura del  
contenuto e dal fatto che l’oggetto del film è ancora vivo e vegeto. In definitiva la correttezza formale aiuta il film a decollare, sebbene con un impianto più fantasioso il film sarebbe risultato maggiormente godibile, ma nello stesso tempo avrebbe potuto sterzare nella farsa, se non ci fosse stata una mano attenta, come invece c’è. L’operazione sembra quasi la versione italiana del film russo- americana “Profumo”, lì gli odori, qui i suoni, vero fulcro centrale ed emotivo di questa umana storia di freaks in divenire. Ribadiamo, corretto e sentito, ma anche troppo algido e prudente.

(di Gabriele Marcello )

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