RIPRENDIMI
 

recensione riprendimi

 
Unico film italiano in concorso all’ultimo Sundance Film Festival, la rassegna creata da Robert Redford, “Riprendimi” è il secondo lungometraggio di Anna Negri. La storia racconta le vicende di Giovanni (Marco Foschi) e Lucia (Alba Rohrwacher), attore lui e montatrice lei, una giovane coppia che ha accettato di farsi riprendere da una piccola troupe per girare un documentario sul problema del precariato nel mondo dello spettacolo. Ma poco dopo l’inizio delle riprese, Giovanni decide di andarsene di casa lasciando moglie e figlioletto, e i due documentaristi Eros (Alessandro Averone) e Giorgio (Stefano Fresi) dovranno risolversi a seguire separatamente la coppia per cercare di portare a termine il lavoro iniziato. Film a basso costo girato interamente in digitale, attraverso la forma narrativa del ‘mockumentary’, cioè del finto docu-  
 
mentario, vediamo snodarsi la storia secondo diversi punti di vista, che cambiano continuamente: ora siamo Lucia, ora Giovanni, oppure ancora chiunque si muova insieme a loro sulla scena. La macchina da presa diventa ulteriore protagonista, che segue il dipanarsi delle vicende della giovane coppia ma anche dei due documentaristi, il cui coinvolgimento crescente nella storia dei due giovani è reso a  
mano a mano attraverso inquadrature più mosse e instabili. ‘Precari nel lavoro e precari nei sentimenti’ dice il fonico Giorgio, proprio a significare come le incertezze e le difficoltà che si incontrano fuori spesso finiscono col pesare e influenzare inevitabilmente la vita privata. Non c’è più l’impegno a prendersi delle responsabilità verso qualcun altro – che sia un figlio, o il proprio compagno, o altri – e a guardare la vita in una prospettiva più ‘collettiva’. A contare è l’Individuo, inteso come ‘Io’ unico e assoluto, e la ricerca della propria felicità, anche al prezzo di calpestare l’Altro. E allora lo stesso titolo “Riprendimi” assume una doppia valenza, il piacere sottile e narcisistico del lasciarsi riprendere da una parte, e il bisogno dell’altro, il non voler essere abbandonati, la richiesta di un ritorno dall’altra. Sperando che non rimanga l’ennesimo ‘caso’ italiano isolato, e ignorato dai più, eccovi servita la precarietà – emotiva e non – di questi nostri ultimi tempi, in un film piccolo, indipendente, inatteso. Che lascia inaspettatamente colpiti e piacevolmente sorpresi con il riaccendersi delle luci in sala.


(recensione di Giulia Mazza )


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