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"Ricky" è un colpo di scena di grosso calibro che si abbatte a metà della pellicola stravolgendo tutto ciò che lo spettatore credeva avrebbe visto, o ri-visto dato che per una buona mezz'ora di film il pubblico viene sapientemente affamato - grazie all'uso di un incipit in flashback - di una storia tutto sommato ordinaria, cinematograficamente parlando, ma giustificata dal punto focale dell'intera pellicola: quel risvolto, fiabesco e macabro, comunque insospettabile, verso il quale questa dirotta. O naufraga? Difficile inquadrare un film che basa parte del coinvolgimento su un incredibile colpo di scena, vera e propria colonna portante e chiave di lettura necessaria. Forse in questo la prima pecca, perché al di là di ogni giudizio di valore "Ricky" è una Fiaba di quelle con la maiuscola, della quale potrebbe essere difficile digerirne |
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i contenuti. Non perché oscuri o velati di un'allegoria urbana - alla quale pure si è abituati - ma forse perché talmente irreali e ingiustificati che si dovrebbe tornare indietro di parecchi anni, ai tempi delle storie raccontate sotto le lenzuola, per comprenderne la schietta semplicità. Purtroppo parte di questi di fanciullesco hanno ben poco ed ecco quindi che i due linguaggi - fantastico e reale - si amalgama- |
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no in una sintesi infelice, inconciliabile, che rischia di straniare e allontanare lo spettatore: sullo schermo si susseguono gli attimi di due storie ben distinte, un prima e un dopo ben netti se non per quel minimo comun denominatore rappresentato da Katie (Alexandra Lamy): donna sola, madre di un bambina molto piccola e preda di una passione viscerale con Paco (Sergi Lopez) dalla quale poi nascerà il piccolo Ricky, vero e proprio centro di gravità dell'intero film. La forza d'animo della donna, incrollabile e ingenuamente colma d'amore, tiene le fila della storia in un modo stranamente naturale che ha un parallelo solo nella maniera con la quale la figlia più grande, con la curiosità propria di ogni bambino, accetterà la particolarità del nuovo arrivato e sarà complice in ogni scelta della madre. Come recita la rassegna stampa francese, Ricky è sospeso tra Giotto e i fumetti della Marvel il che risulta vero se ci si arresta a un livello poco più che superficiale: di Marvelliana memoria ci sono un paio di piume e nulla più. Molto più calzante il paragone con Cronenberg, a patto che però ci si arresti molto prima di cercarne forzati paralleli. Un film indubbiamente ricco di spunti ed estremamente tangibile nonostante la straordinarietà narrata, ma che forse scalderà eccessivamente il cuore di pochi, lasciando agli altri un senso di smarrimento. Il pubblico che assiste alla vicenda e che, come si sa, ne costruisce a poco a poco le fila guidato sapientemente nell'ordito dal regista - regola generale della cinematografia - potrebbe non sopportare che le sue poche certezze vengano interamente spazzate via per essere, interamente, ricostruite da tutt'altra parte. Si potrebbe perdere la bussola insomma, molto prima di domandarsi dov'è nascosto il messaggio, qualunque esso sia. Una parentesi a parte meritano gli effetti speciali della BUF, la compagnia di Pierre Buffin che, per chiunque ne ignorasse la portata, è la stessa responsabile della CGI di film come Fight Club o Matrix, Harry Potter o Batman e così via fino al più recente Knowing: solo per rifarsi a titoli difficilmente ignorabili. Processare in computer grafica gli atteggiamenti scomposti di un neonato è difficile e complicato, e anche quando il risultato sembra macchinoso, nel complesso gli effetti speciali risultano sempre ben integrati. Un film che o si odia o si ama, lasciando poco spazio alle mezze misure.
(di Marco Trani)
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