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recensione resident evil afterlife
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Siamo sempre alla Umbrella Corporation. Dopo 4 film e non si sa quanti anni trascorsi dal principio siamo sempre daccapo. Il virus T, gli zombie e, ovviamente, Alice. Che prima è normale poi ha superpoteri e adesso è di nuovo normale. E continua ad avere le straordinarie sembianze di Milla Jovovich che, sia con vestitino rosso e stivaloni, sia in versione texana con parigine e autoreggenti in vista, sia in tutina nera super sexy, sa sempre come accontentare lo sguardo del pubblico, soprattutto maschile. Riprende in mano la saga colui che aveva firmato il primo capitolo e che ci aveva fatto ben sperare per il proseguo di una fulgida carriera (Paul W.S. Anderson, marito della Jovovich, e chiamalo scemo!). Ma giunti sin qui a forza di tamarrate trash (vedasi il gigante incappucciato con mega martellone arrugginito assemblato |
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artigianalmente per uso e consumo dello spettacolo cialtronesco), passando per un Alien vs Predator e un Death race di troppo, cominciamo anche su di lui a nutrire qualche ragionevole dubbio. D'accordo che Resident evil è tratto da un videogioco ma lo schema rigido e ripetitivo che ha assunto la saga la fa assomigliare fin troppo al modello senza però la possibilità di interazione. Come in un videogame
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a livelli infatti in ogni capitolo troviamo la nostra eroina alle prese con un cattivo sempre più cattivo del precedente che alla fine viene eliminato e subito sostituito da un altro di grado e pericolosità maggiore. La già citata Umbrella corporation è diventata ormai un'entità metafisica, incarnazione del male assoluto di cui sono diventati inutili propaggini obiettivi, motivazioni e intenti che la muovono. Il tentativo di Resident evil: after life di riallacciarsi là dove era finito il terzo episodio è apprezzabile ma la sensazione di piroettare come una trottola senza muoversi dal proprio posto sta cominciando a dare la nausea. Il pleonastico ma onnipresente 3D suona come l'antico refrain "volevamo stupirvi con effetti speciali". Ma ahinoi non ci sono riusciti. E' come voler insaporire abbondando in spezie una pietanza priva di gusto.
(di Mirko Nottoli )
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