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Musical premiato col
Pulitzer nel 1996,
successo incredibile
rappresentatissimo
nei teatri di Broadway,
dell’America
e del mondo, “Rent”
approda anche sugli
schermi cinematografici.
Mark il regista dilettante,
Roger il cantante
triste, il travestito
Angel, il professore
filosofo Tom e la
ballerina Mimi, sono
i personaggi sofferenti
nati dalla fantasia
di Jonathan Larson
(che non potè
mai godere del successo
della sua opera, morì
prematuramente di
aneurisma) che porta
in scena il periodo
bohemienne della New
York anni ottanta
dove a farla da padroni
erano sete d’arte
e libertà,
funestate dallo spettro
dell’aids e
della droga. Il cast,
ad eccezione di Rosario
Dawson (una vera pantera,
sinuosa e ammaliante),
è riciclato
direttamente dagli
spettacoli teatrali.
Tutti bravissimi e
convincenti ma paiono
presi e buttati in
un compito d’alta
classe. La regia di |
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Chris
Columbus,
noto
per
i primi
due
“Harry
Potter”
e “Mrs
Doubtfire”,
è
manieristica
(quale
scelta
operare
per
rappresentare
la morte
dei
componenti
seduti
in cerchio
del
gruppo
di aiuto
per
i malati?
Ma le
sedie
che
rimangono
vuote,
no?)
e l’effetto
generale
risulta
purtroppo
datato
e fiacco
perché
portato
all’estremo.
Non
esiste
identità
sessuale
ma identità,
non
c’è
amore
che
non
possa
superare
confini
sono
i te- |
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mi sbandierati
con una pervicacia
quasi da fanatici.
Niente invenzioni
pirotecniche
o rimescolii
nel calderone
per poter
servire sì
lo stesso
piatto, ma
ricucinato
e rivisto.
Il risultato
è una
patinata copia
impeccabile
di ciò
che si può
fruire anche
a teatro.
Rimane nella
memoria una
coinvolgente
scena di tango,
colorata e
fantasiosa.
Canzoni e
dialoghi cantati
(insostenibili
in certi passaggi)
sono stati
lasciati in
lingua originale
ma nelle parti
tradotte si
riesce anche
a commettere
uno strafalcione:
“to
cover”
trasposto
alla lettera
“coprimi”
anzichè
con la dovuta
licenza “proteggimi”
dà
il colpo di
grazia alla
pazienza.
Per bilanciare
vien voglia
di correre
a casa e rivedersi
“Team
America World
Police”
di Parker
e Stone che
parodiavano
“Rent”
con l’irriverente
“Everybody
gots Aids”.
Solo per devoti
cultori del
genere in
un caso o
nell’altro.
(di Daniela
Losini )
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