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Primo lungometraggio
della regista Andrea
Arnold, “Red
Road” è
il primo lavoro cinematografico
inserito nel progetto
Advance Party, che
prevede tre film diretti
da tre registi scozzesi,
girati nella stessa
città di Glasgow,
con nove attori che
recitano nei tre film
del progetto. Alla
esordiente giovane
regista Andrea Arnold
è toccato,
per l’appunto,
la realizzazione del
primo lavoro. In un
clima silenzioso,
dimesso ma inquietante
per un susseguirsi
di scene senza dialoghi,
che lasciano molto
ad un’immaginazione
incerta sui fatti,
la figura di Jackie
(Kate Dickie) cattura
lo schermo. Persona
solitaria, scontrosa,
ma sensibile, Jackie
lavora per una società
di videosorveglianza,
e lecitamente invade
la privacy dei cittadini
di Glasgow, osservando
la vita della città
attraverso dei monitor,
per catturare situazioni
anomale di vita quo- |
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tidiana.
Per
il resto,
la vita
della
giovane
donna
non
sembra
avere
un senso:
solitudine,
sesso
occasionale
e senza
slancio
di sentimenti,
comportamenti
scontrosi
nelle
relazioni.
Ma un
giorno,
per
caso,
Jackie
glissando
sul
monitor,
riconosce
un uomo,
Clyde
(T.
Curran),
che
scuote
il suo
lato
emotivo
in modo
irrefrenabile.
Jackie
arriverà
a contattare
l’uomo,
per
dare
sfogo
al suo
senso
di odio
represso,
per
pareg-
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giare i conti
con un passato
doloroso,
per lei lacerante.
“Red
Road”
è una
cronaca drammatica
e oscura su
una donna
che non ha
mai elaborato
un doloroso
momento della
sua vita.
La lentezza
della narrazione
rende bene
l’idea
di un incubo
ossessivo,
freddo, senza
lasciar trapelare
la causa del
malessere
esistenziale
della protagonista.
La tecnologia
che permette
di spiare
coloro che
non lo sanno,
è un
occhio sul
potere di
controllo,
è uno
sguardo fendente
sulle vite
in circolo.
E l’occhio
elettronico
osserva la
“Red
Road”,
con i suoi
possibili
pericoli,
i rischi di
cui potrebbe
essere vittima
la gente,
in un contesto
urbano deprimente,
senza più
sentimento
umano. E’
su queste
linee che
il film si
delinea come
thriller.
La regista
gioca con
l’immagine
voyeuristica
che bracca
la preda,
senza però
manipolarla
e caricarla
di falsi incubi.
Sono i silenzi,
i comportamenti
anticonvenzionali
a costruire
i dettagli
della narrazione,
in questo
caso più
significativi
di dialoghi
esplicativi.
L’opposizione
silenziosa
dell’intimità
di Jackie
al fracasso
urbano che
ruota intorno
a lei, è
un confronto
freddo di
situazioni
sociali degradanti.
La scena di
sesso non
simulata rappresenta
l’ambivalenza
di sentimenti
contrastanti,
tra un rapporto
sessuale del
tutto consenziente
ed il fine
che il rapporto
avrà
poi per la
stessa Jackie.
Dalla freddezza
delle prime
immagini anonime,
alla fine
arriva la
conclusione
che spiega
questa storia
dagli aspetti
mortiferi,
tristi, ma
nient’affatto
melanconici
o affettati,
imprigionata
nei più
reconditi
strati dell’emozione
soffocata
e di un dolore
mai elaborato.
Il film ha
riscosso parere
positivo all’ultimo
festival di
Cannes. Tuttavia
è penalizzato
non poco nella
conclusione
che rasenta
la banalità.
In compenso
è da
considerarsi
molto buona
la prima parte,
che rivela
bene la professionalità
di una brava
Kate Dickie.
(recensione
di Rosalinda
Gaudiano
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road"! |
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