RASPUTIN - RECENSIONE
 
locandina Rasputin
Locandina "Rasputin"

Rasputin - recensione

 
Un film sperimentale d’impianto teatrale e sapore eversivo in cui la fotografia è parte integrante del contenuto - come un quadro in movimento – e una mescolanza di arti che richiede grande attenzione (ma soprattutto pazienza) da parte di chi sta davanti allo schermo. È il biglietto da visita di “Rasputin”, dall’8 aprile in sala distribuito da L’Altrofilm. Quinto lungometraggio del torinese Louis Nero, giovane regista che da sempre privilegia il registro ‘anticonvenzionale’ per le sue opere, il quale, in questa primavera della commedia tricolore, porta sullo schermo un film ostico a tratti respingente. Un docufilm dettato dalla voce narrante di Franco Nero (anche produttore della pellicola, presentata al Festival di Los Angeles e già venduta negli States) totalmente girato in interni, ambienti cupi e poco illuminati dominati da un  
 
cromatismo caravaggesco, e ispirato alle ultime ore di vita del Santo-Demonio Grigorij Efimovic Rasputin. Uno dei personaggi più enigmatici e controversi del XX secolo: un povero contadino che, grazie ai poteri ipnotici e al suo carisma, fu promosso consigliere dell'ultimo zar di Russia, Nicola II. Amato dalle donne di ogni ceto, grazie allo sguardo magnetico e allo sguardo mefistofelico, il monaco Rasputin divenne un   recensione Rasputin

mito per la zarina Alessandra Feodorovna, alla quale regalò la guarigione del piccolo principino emofiliaco Aleksej, l'erede al trono. Si mormora infatti che Rasputin fosse in grado di guarire i malati con l'ipnosi vocale. Tra leggenda e realtà, la figura del barbuto occultista – interpretato da Francesco Cabras e doppiato da Francesco Pannofino - oggi è al centro di una rivalutazione, che mettendo da parte il mito tende a paragonare il percorso personale del monaco pellegrino a quello dei martiri cristiani. Purtroppo il film privilegia troppo l'estetica a scapito della sostanza, e la suggestione alla psicologia, col risultato di non coinvolgere lo spettatore all'identificazione con una figura così ricca di luci ed ombre. Assassinato il 19 dicembre del 1916 a San Pietroburgo, non prima di aver pronunciato l'anatema contro l'intera stirpe dei Romanov, il corpo di Rasputin fu ritrovato nelle acque gelide del fiume Moika, col viso sfigurato e le mani legate. Leggenda narra che quel giorno i russi corsero con i secchi ad attingere l'acqua del fiume, sperando di acquisire i poteri magici dell'uomo di dio. Il regista Louis Nero, da sempre interessato a questa figura mitica, per la realizzazione del film si è documentato ed ha letto i referti medici sulla morte dell'occultista: nel sangue di Rasputin sarebbero state rinvenute tracce di cianuro, colpi di armi da fuoco, e acqua nei polmoni. La sua morte, però, è ancora avvolta nel mistero. Tra viaggi nelle residenze sfarzose e incursioni nelle sette occultiste, il docufilm ricostruisce la vicenda del personaggio, alternando la narrazione ai flashback che rievocano il passato di Rasputin. La storia inizia dalla congiura capeggiata dal principe Feliks Jusupov (interpretato da Daniele Savoca) e arriva fino ai riti orgiastici, procedendo per intarsi e visioni di stampo pittorico che in generale penalizzano il ritmo del film. Come un enorme puzzle in movimento, le immagini ritagliano porzioni di schermo o fioriscono al centro dell'inquadratura, ‘incastrandosi' come quadri nella cornice. Risultato? Il film diventa una matrioska in cui le icone dei personaggi si affastellano le une alle altre o si sovrappongono, grazia agli effetti digitali e allo split screen. Efficace la colonna sonora ipnotica firmata Theo Teardo.


(recensione di Alessandra Miccinesi )


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