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di
Rosalinda Gaudiano
(****)
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Ritorno alla grande al film di finzione per Jonathan Demme, dopo la non felicissima performance con The Manchurian Candidate nel 2004, per questo "Rachel sta per sposarsi", presentato anche all'ultima Mostra d'Arte Cinematografica di Venezia. Abbandonata per ora (non del tutto!) la strada del documentario, il regista, già apprezzatissimo per "Il silenzio degli innocenti" e "Philadelphia", mette in scena un film molto intenso, sulla famiglia, su "invito" della sceneggiatrice Jenny Lumet, figlia del grande Sidney Lumet. La pellicola inquadra il ritorno a casa della giovane Kym, tossica in riabilitazione, interpretata da Anne Hathaway, già vista ne "Il diavolo veste Prada", per il weekend di nozze della sorella Rachel, un'ottima Rosemarie DeWitt. Con tutto ciò che significa per lei: ritrovare la famiglia, essere sottopo- |
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Jonathan Demme non è uno sconosciuto, né un principiante. E' il regista che nel '91 si aggiudicò ben cinque Oscar con il "Silenzio degli innocenti", riscosse poi un condiviso successo mondiale con "Philadelphia", e ritornò alla ribalta nel 2003 con il capolavoro "The Agronomist", un documentario accolto da entusiasmanti applausi alla mostra di Venezia di quell'anno. "Rachel sta per sposarsi ("Rachel Getting Married") è il suo ultimo lavoro di regia, concepito quasi sotto un profilo documentaristico, che ha consentito all'occhio di Demme di "guardare" oltre la scena, l'inquadratura, la sequenza, e di mediare un
messaggio forte a livello individuale e collettivo, creando un'opera compiuta nella sua interezza. La storia del film può percepirsi addirittura familiare nella realtà dei nostri giorni. Kim (Anne Hathaway) |
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sta ad attenzioni particolari, tentare di nascondere i vari conflitti, con se stessa e con gli altri. Soprattutto ri-cercare un posto all'interno della famiglia, una famiglia che non ha più fiducia: nonostante tanti scontri, alla fine l'approvazione da parte della sorella sarà la migliore iniezione di fiducia per poter superare la fine del periodo di riabilitazione ed il suo nuovo inserimento nella famiglia e nella società. La particolarità sta soprattutto nello stile, assolutamente di stampo documentaristico, come fosse un "filmino amatoriale", il classico parente che riprende le scene ad un matrimonio: lunghi tratti sono dominati dalla telecamera a mano, nervosa e in costante movimento, come a volersi mischiare con gli invitati. Si ha l'impressione di divenire membri della famiglia e si diventa partecipi delle varie problematiche. Il tutto immedesimandosi in personaggi non totalmente positivi e piacevoli, ma sempre pronti a far schizzare fuori le tensioni interne che ognuno serbava dentro di sé. Per conseguire questo risultato Demme si ispira ai film di Altman ma anche ai Dogma di Lars Von Trier, cioè telecamera a mano e attori che recitano senza aver fatto prove: così si è raggiunto un altissimo livello di spontaneità che ha reso più realistico il film. Anche la scelta della colonna sonora è molto indicativa in questo senso: le scene sono accompagnate da musica "dal vivo", da ospiti del matrimonio, musicisti infiltrati sotto mentite spoglie (tra tutti il jazzista Donald Harrison jr. e il palestinese Zafer Tawil ), anche queste senza aver prima svolto delle prove. Demme è geniale nel raccontare il dramma interno della famiglia, dei rapporti tra sorelle e tra figlia e padre, senza però minimamente intaccare l'evento base: il matrimonio di Rachel. Che scorre perfetto, senza il minimo problema, un matrimonio colorato, festoso e multirazziale, pieno di musica e culture differenti. Esattamente quello che il regista voleva raccontare (o vorrebbe sperare): una nuova società priva di differenze, aperta all'integrazione e multietnica.
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è una giovane donna con un recente passato di tossica, stato da cui tenta di "pulirsi" soggiornando in una casa di cura specializzata. Per il matrimonio della sorella Rachel (Rosemarie DeWitt), Kim ritorna alla casa paterna nel Cunnecticut, e lì si ritrova faccia a faccia con vecchi e laceranti ricordi, emozioni, che sonnecchiano nella sua coscienza dilaniata dal rimorso per la morte del fratellino. La casa paterna è in festa. Amici, parenti, musicisti e tavole imbandite costituiscono un clima variegato di multietnicità, apparentemente armonioso, allegro e sereno. Il quadro è quello di una famiglia-tipo della media borghesia americana. Genitori divorziati, rispettivamente risposati ed in buoni rapporti che per l'occasione del matrimonio della figlia Rachel si ritrovano comunque a dimenarsi con quei fantasmi di un passato mai cancellato, intriso di colpe e rimorsi. La giovane Kim rappresenta la "diversità maligna" della famiglia. Lo specchio in cui gli altri si riflettono, la persona disturbata che funge, in una circostanza come questa, da catalizzatore di azioni e reazioni a catena che porteranno, senza fare sconti a nessuno, ad amari e sconcertanti confronti, accuse reciproche e tentativi disarmanti di scoperchiare gli scheletri sepolti negli armadi. Demme, per mediare il dramma famigliare in "Rachel sta per sposarsi", predilige il cinema diretto, usa la mdp a spalla, riprende in sincrono immagini e suoni, volti, espressioni implicite ed esplicite, stabilendo un contatto reale con lo spazio filmico attraverso il ruolo attivo della cinepresa che registra e mette in scena miserie vissute e vigliaccherie che si mascherano dietro emozioni ipocrite.
La famiglia allargata di Rachel è un microcosmo, quello di ognuno di noi, in cui ogni giorno ci cimentiamo, attraverso i confronti, nelle partite di risentimenti, falsità ed ipocrisie per alimentare un fine vitale oggi tanto di moda: l'individualismo, nascosto dietro la maschera degli affetti, delle sollecitudini,
delle partecipazioni, in particolare all'interno della famiglia. "Rachel sta per sposarsi" è un film corale, esaustivo ed esauriente. Dallo schermo riesce a creare partecipazione ed immedesimazione. E nella sua complessa riuscita nel rappresentare lo scacchiere delle relazioni umane si afferma come capolavoro di cinema diretto, di cui il Demme cineasta si assume tutte le conseguenze, etiche oltre che estetiche. La recitazione della giovane attrice Anne Hathaway è da Oscar. Misurata, onesta e caratterizzante alla perfezione il personaggio della fragile Kim. D'altra parte non c'è una nota di demerito alla recitazione di tutto il cast, che partecipa con naturalezza al chiasso della musica suonata dal vivo da Zafer Tawil e Donald Harrison jr.
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