RACCONTI DA STOCCOLMA
 

recensione racconti da stoccolma

 
Sullo sfondo di una Stoccolma livida e apparentemente tollerante, scorrono parallele tre storie diverse. La violenza e i soprusi, l’incomprensione di chi ci circonda, per scoprire che nulla è come sembra e che anzi il ‘mostro’ si nasconde proprio tra le persone a noi più vicine: queste sono le tematiche affrontate da Anders Nilsson nel suo “Racconti da Stoccolma”. Carina è una giornalista stimata e ammirata sul lavoro, ma a casa trova ad aspettarla solo botte e umiliazioni da parte del marito, geloso del suo successo; quando la famiglia scopre che sua sorella Nina si vede con un ragazzo, la giovane Leyla si renderà conto troppo tardi quanto è salda e rigida la fede religiosa dei suoi; Aram è il proprietario di un locale notturno che rimane coinvolto nell’aggressione di uno dei suoi buttafuori. Tre storie, tre ‘cartoline’, fotografie dure e a tratti  
 
spiazzanti per spiegare come la paura più grande non sia quella provocata dalla minaccia di malattie o serial killer, ma quella celata tra le mura di casa. I tre episodi non sono tutti allo stesso livello: se quello della giornalista fa il suo onesto lavoro presentandosi ben equilibrato per tutto lo snodarsi della vicenda, l’ultimo è certamente il più ‘debole’, sia per la trama in sé per sé, sia perché più slegato rispetto agli altri  
riguardo le tematiche di fondo dell’intero film. Quello di Leyla invece si rivela essere il più ricco quanto a trama, e il meglio riuscito tecnicamente parlando, un vero e proprio pugno nello stomaco capace di scatenare emozioni e sensazioni forti: stupore e disgusto, dolore e rabbia, nonché un senso di impotenza dinanzi a una vicenda che ha dell’incredibile soprattutto perché è vera (il film è infatti ispirato da fatti realmente accaduti, e ha vinto il Premio Amnesty International al 57° Festival di Berlino). Questi “Racconti da Stoccolma” sono ‘narrati’ dagli stessi protagonisti delle vicende: è attraverso i loro occhi, le loro sofferenze, che viviamo quanto accade sullo schermo, che cerchiamo una risposta al male che proviene da chi per primo dovrebbe difenderci, nel tentativo – talvolta disperato – di rifiutare di essere semplici vittime. Nonostante dunque qualche perplessità, è un film che ci parla, e che ha diritto di essere visto/ascoltato.



(recensione di Giulia Mazza )


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