QUEL CHE RESTA DI MIO MARITO
 
locandina quel che resta di mio marito

recensione

 
Christopher Rowley, regista americano, non più giovanissimo, comunque esordiente alla regia del suo primo lungometraggio “Quel che resta di mio marito”, distribuito (e potrebbe sembrare strano!) dalla Teodora film, apre la sua carriera di cineasta non senza promesse, con questo suo primo lavoro dal sapore più dolce che amaro. Tre amiche, Arvilla (Jessica Lange), Margene (Kathy Bates) e Carol (Joan Allen), una vecchia Cadillac Bonneville rossa decapottabile e una missione molto speciale danno inizio ad una commedia on the road tutta al femminile. Le tre donne entusiaste attraversano grandi spazi aperti della loro America, sempre più elettrizzate anziché addolorate dal fine del loro viaggio, che man mano si rivela ricco di piacevoli sorprese ed incontri imprevedibili. Il viaggio, come momento  
 
di crescita e conoscenza soggettiva è argomento trattato e ritrattato nel cinema statunitense. Da questo punto di vista tranquillamente possiamo dire che non c’è niente di nuovo come idea portante nella sceneggiatura di Daniel D. Davis. In effetti, la vera ossatura del film è data dal cast pregevole, che non smentisce arte ed impeccabile recitazione. Al di là di questo, il film non regge   recensione quel che resta di mio marito
quella costruzione pretenziosa nello stile e nella struttura che il regista ha tentato in tutti i modi di rendere visibile. Molto penalizzato a più tratti nella lentezza dei dialoghi e staticità sceniche, “Quel che resta di mio marito” offre comunque una fotografia magistrale di Jeffrey L. Kimball, che restituisce, nella sua verità di scrittura fotografica, quel lato sociale proprio dei luoghi e della gente di un’America percorsa velocemente durante un viaggio in auto. Forse, Rowley e Davis hanno puntato sull’idea singolare del film nell’atto dello spargimento delle ceneri del povero marito Joe da parte di Arvilla ai venti americani, causa di forte diverbio verbale tra la stessa Arvilla e la figliastra Francine (Cristine Baranski). Ma anche questa “novità” alla fine risulta poco credibile e rende palese la fragilità di un film che si lascia vedere per il rotto della cuffia.




(di Rosalinda Gaudiano )


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