soluta padronanza
del registro
usato. Questa
è una
tragedia contemporanea
e gli eccessi
sono funzionali
allo sviluppo
drammatico.
“Proprietà
privata”
è un’opera
riuscita proprio
perché
non è
pavida nel
mostrare i
sentimenti,
piuttosto
li incarna
nella sceneggiatura
senza patetismi,
arrivando
ad un acme
emozionale
davvero raro
in un’opera
contemporanea.
Merito sicuramente
anche dell’uso
parco e sublime
della musica
e di un rapporto
interno/esterno
calibrato
al millimetro,
lo spettatore
arriva in
fondo al film
con un senso
di pienezza
ma anche di
autentico
smarrimento.
Ma forse il
contributo
più
interessante
apportato
da questo
film è
lo scavo di
interrogazione
del rapporto
gemellare,
relazione
che difficilmente
in passato
è riuscita
a trovare
un degno spazio
all’interno
della settima
arte. Il regista
è un
gemello e
si vede, perché
difficilmente
si sarebbe
potuto rendere
un rapporto
così
speciale senza
averne avuto
almeno una
minima esperienza
personale.
E i Renier
(semplicemente
fratelli nella
vita reale)
interpretano
François
e Thierry
in maniera
magistrale.
In particolare
il dardenniano
Jérémie
Renier (“La
promesse”,
“L’enfant”)
rasenta in
alcuni punti
quasi una
perfezione
assoluta,
tanto che
(sembra impossibile
ma è
così)
a conti fatti
la performance
di Isabelle
Huppert ne
è addirittura
adombrata.
A parer nostro
è lui
il vero vincitore
della Coppa
Volpi come
Miglior Attore
(su “trionfo”
di Ben Affleck
è bene
stendere un
velo pietoso)
e speriamo
che non si
stanchi mai
di essere
l’attore
selvaggio
e intenso
che abbiamo
imparato a
conoscere.
Unico neo
(ma è
subito perdonato)
è l’inverosimiglianza
dell’età
degli attori:
nel film dovrebbero
avere 22-23
anni (ma 12-13
psicologici,
Lafosse dixit),
mentre nella
realtà
Jérémie
Renier ne
aveva 26 e
Yannick 31;
francamente
si nota.
(recensione
di Marco
Santello
)